3. Fottuta meraviglia

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Lo sai com'è vivere con urla soffocate incastrate in qualche lacrima agli angoli degli occhi?
È così che immagino la tua sofferenza.

L'ansia che sale, le parole sentirle, ma lasciarle bloccare al momento in cui sono pronte, li, per esser sputate fuori. Per non fare ulteriore male. Alcune volte riesco a contenere l'egoismo che si impossessa di ogni lembo di pelle. Riesco a non essere gelosa delle attenzioni che risucchi. Sono anni che cresco senza raccontare niente a mia madre. Solo le cose belle, Serena. Solo. Cose. Belle. Non sovraccaricarla di tensione ingiustificata.

Tante volte ho avuto paura. E c'ho dovuto fare i conti da sola, con le mani che tremavano e la lucidità che scorreva lenta in gola fino a schiantarsi giù nello stomaco. Ancora non so se ho più paura di perderti o di continuare a vivere questa vita in balia della tua malattia.

Mi sento rotta quando penso a te.
Vorrei che tornassi anche solo un momento, per dirmi che sto sbagliando. In realtà per dirmi qualsiasi cosa. Mi manca la tua schiettezza cattiva.

Ho iniziato a scrivere della tua malattia perché quelle urla non ce la facevano più a starmi nello stomaco.
Fare i conti con una pagina bianca però, è mille volte più difficile che fare finta che al di fuori di me sia tutto una fottuta meraviglia.

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