Eredità

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4 luglio 1783,
Boston

Il mais tostato e la polvere da sparo si mescolavano al rancidume del porto. La folla era accalcata con i nasi al cielo che, da lì a poco, si sarebbe animato di colori e scoppi.

Non troppo tempo prima, sarei stato in mezzo a loro a festeggiare le conquiste di libertà. Il mio sguardo non sarebbe stato alto, ma rivolto al sorriso di Calian, pieno di soddisfazione per essere giunto alla fine della sua battaglia. Ma i colori della festa non si sarebbero mai specchiati nei suoi occhi neri e a me, in quel momento, della rivoluzione non importava.

Fino a quando non avessi portato a termine la caccia, non avrei trovato pace.

I civili erano troppo distratti per curarsi delle insidie della notte. Ero scivolato fra loro indisturbato seguendo la mia pista. I possessori di magia avevano un odore differente: carne bruciata, vapore caldo, zolfo e sangue. Ma c'era dell'altro... riconoscevo l'effluvio dei suoi capelli, la polvere nei suoi abiti antichi, il cuoio delle frusta.

Era vicina.

La frusta scoccava a terra, poi colpiva Calian e lo avvolgeva. Il solo contatto faceva sfrigolare la pelle nuda.

«So riconoscere il male anche quando si nasconde dietro a un bel ideale, vampiro. Lo estirperò, perché è questo che noi Belmont facciamo fin dall'alba dei tempi.»

I primi fuochi d'artificio esplosero e la folla si fece più concitata. Mi insinuai fra loro, fumo nero e sottile, e passai in rassegna ogni viso.

Poi, d'un tratto, mi arrestai.

«Mamma, mamma!» Un bambino, con le mani strette intorno alla cinghia della tracolla, guardava oltre la cima dei palazzi. I colori dei fuochi d'artificio si riflettevano nelle sue iridi azzurre, piene di meraviglia. Una creatura innocente, giovane di vita, impregnata però dell'odore di morte.

«Non fermarti, andiamo.» Sua madre lo afferrò per la spalla e lo costrinse a seguirla nell'oscurità del vicolo.

Julia Belmont aveva fretta. Ne aveva avuta parecchia, negli ultimi tempi. Boston non era più un posto sicuro per lei da un pezzo. Teneva il bambino vicino, si guardava intorno avveduta e io ne ero orgoglioso di averle levato, ancor prima della vita, la serenità.

I rimbombi e delle grida festose si fecero più lontani e un silenzio premonitore calò fra le strade secondarie del porto. C'era una nebbia fine, come quel giorno nel quale mi aveva strappato Calian per sempre. Lo aveva fatto perché era un vampiro o perché era un rivoluzionario? Era stata la sua natura a ucciderlo (ero stato io che lo avevo reso un mostro) o il suo ideale, così scomodo per molti? Non mi importava più.

Julia Belmont avrebbe pagato. Una vita per una vita. Quello era l'ordine naturale.

«Lasciami andare, non sono quello che credi, non sono tuo nemico.»

«Pensi di essere migliore degli altri vampiri?» Lo stemma dorato sulla schiena della cacciatrice aveva brillato nel sole. «Hai sterminato centinaia di uomini solo perché indossavano una divisa diversa dalla tua. Sei come tutti gli altri, un mostro.»

«Sono un figlio della libertà!» Calian aveva lottato contro la frusta per non farsi trascinare nel lato assolato della strada. Quando la luce lo aveva sfiorato, i canini pronunciati si erano palesati, le pupille strette come quelle di un serpente. Aveva emesso un ringhio ferale.

Con la mano libera, la cacciatrice gli aveva avvicinato la saga d'argento, perchè si specchiasse. «Guardati bene . Sei un mostro, come tutti gli altri.»

«Credevo di dover combattere il male, che fosse questo il punto.» La voce del bambino si udiva appena, tanto era flebile.

«Senti, perché devi discutere sempre di tutto?» Julia Belmont accelerò il passo. «Sarai più al sicuro in Francia.»

Castlevania: Figlio del SoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora