Sacrificio

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Tenochtitlan

La pietra era rovente sotto i miei piedi così come i bracciali di rame. Le braccia mi dolevano per il peso della cesta e il sudore mi copriva la fronte e la schiena. In cima al tempio, il vento era abbastanza intenso da sospingermi verso la meta. Il suo tocco era una carezza e sembrò accogliermi scostando le tende per facilitarmi l'ingresso. Dentro, esalazioni di sudore e frutta fermentata si univano a note metalliche e di decomposizione.

Mi feci strada a fatica tra i fedeli, ogni passo un'agonia, e giunsi finalmente al cospetto della statua imponente di Quetzalcoatl. Il Serpente Piumato, sgargiante di bronzo e smeraldi verdi, non batté ciglio di fronte alla quantità sbalorditiva di fave di cacao trasportata fin lassù da un bambino.

Quando posizionai la cesta a terra, sembrò perdersi tra i doni intorno all'altare. Carni pregiate, bevande dall'odore pungente, caffè... ogni genere di ricchezza che potesse nutrire e compiacere gli dèi. La loro vita eterna avrebbe garantito la nostra.

Il mio stomaco si lamentò alla vista di quelle prelibatezze e un'ondata di frustrazione mi investì al pensiero che la mia offerta sarebbe stata sprecata. Gli dèi ricevevano quei doni ogni settimana, tuttavia non avevano mani da allungare su di essi né stomaci per bearsene. Di quel banchetto, ai mortali non era consentito sottrarre nemmeno un grano. Lo avevo imparato a mie spese.

«Il dono che hai offerto ti avvicina di un passo alla tua libertà.» Necalli, il mio padrone, era giunto davanti dell'altare e osservava anche lui la ricchezza del nostro popolo. «Dimmi, Olrox, giovane schiavo, quanti gradini hai dovuto salire per giungere fino a qui?»

«Molti,» mi voltai indietro, «ma a dire il vero non saprei dire quanti.»

Gli occhi severi di Necalli si posarono su di me. «Scendendo li conterai,» mi ordinò, «perché ogni gradino rappresenta un giorno di schiavitù in meno e ogni settimana, giungendo quassù, li conterai tutti sottraendone uno ogni volta.»

«E quando arriverò a zero cosa accadrà?»

«Sarai di nuovo libero.» Necalli mi appoggiò la mano sulla testa. «Ti costerà dolori, vesciche a mani e piedi, ma ti renderà forte e di nuovo degno al cospetto degli dèi.» Il suo sguardo si spostò sulla statua. «Fatica e devozione sono una lezione importante per chi ha osato rubare al tempio.»

Quando il sole tramontò, l'incenso saturò l'aria e le candele si attizzarono una dopo l'altra. Il sacerdote, un uomo agghindato con cinture, collane e una corona di piume fulgide, entrò cantando una preghiera.

Il sermone durò così a lungo da mettere a dura prova le mie ginocchia, dolenti per la salita faticosa, ma mi sforzai per unirmi al coro. Necalli mi accarezzò la testa, forse compiaciuto del mio interesse. Quando la musica tacque, mi esortò a voltarmi.

Le prime stelle avevano iniziato a ravvivare il cielo notturno e credetti fosse giunto ormai il tempo di ritirarci. Nessuno però si mosse.

Sulla soglia, si delineò una sagoma nera, stagliata nel cosmo ora luminoso. Solo quando entrò nell'alone delle candele, compresi si trattava di un ragazzo poco più grande di me. Compresi infatti si fosse già affacciato all'età adulta per via della pelle del colore dell'ambra, scurita dal sole, e i muscoli da guerriero. Nudo, aveva le braccia legate dietro alla schiena e le caviglie unite da una catena.

«Chi è?» chiesi fra orrore e meraviglia.

«Un prigioniero che non ha voluto sottomettersi all'imperatore.»

«Cosa gli accadrà?»

I presenti si fecero da parte per creare un passaggio verso l'altare.

«Osserva la misericordia degli dèi,» mi rispose Necalli. «Persino chi nasce senza un dio ha la possibilità di pentirsi e incontrare il Serpente Piumato e il Sole in persona.»

Il giovane venne trascinato su per le scale del tempio e, quando mi passò accanto, udii la sua richiesta di aiuto soffocata.

Due uomini lo costrinsero a inginocchiarsi sull'altare, al di sotto delle fauci del Serpente Piumato e il sacerdote gli appoggiò un pugnale alla gola.

I presenti iniziarono a battere i piedi a terra con ritmo crescente, e le parole del giovane, che continuava a guardarmi, si persero nel tumulto.

Il tempio sembrava tremare sotto quella danza frenetica e la voce del sacerdote echeggiò con parole che osannavano la guerra e la conquista di nuove terre. Poi, lanciò un urlo di battaglia, alzò pugnale verso il Serpente e lo fece calare sul giovane.

D'istinto, distolsi lo sguardo, ma Necalli strinse il pugno nei miei capelli. «Guarda,» mi disse, «ammira la misericordia degli dèi, che accettano in dono anche coloro che li hanno profanati.»

Il sangue schizzò sui doni dell'altare. La frutta, la carne, il rame e il cacao che avevo trasportato con tanta fatica erano tinti di rosso.

«Che ti sia di monito: gli dèi stringono le nostre vite fra le mani e, come la donano, se la riprendono.»

Gli occhi del ragazzo restarono sigillati ai miei e quelle parole sconosciute, ma così chiare, gli restarono sulle labbra.

Il Serpente Piumato rimase inerte di fronte al sacrificio di sangue, le fauci spalancate come in un sorriso.

La frustrazione mi travolse ancora. Noi tutti avremmo potuto beneficiare di quel cibo, allungare le mani e mangiare e bere a sazietà. Quel giovane, di certo avrebbe potuto godere della vita più di quanto non avrebbero fatto i vermi, qualche giorno dopo, con il corpo lasciato a rinsecchire al sole.

«Rendi grazie agli dèi, così clementi da aver concesso una seconda possibilità a un ladruncolo come te,» mi disse il mio padrone, tirandomi per i capelli. «Inchinati al loro cospetto e gioisci di poterli servire ancora.»

Mi spinse la nuca con forza e caddi in ginocchio, le mani sulla pietra ancora calda.

«Prega,» mi ordinò il padrone. «A voce alta!»

«Gloria...» Strinsi i pugni e alzai lo sguardo. Gli occhi del giovane erano ora simili ai due medaglie d'argento ossidati e quelli della statua, verdi brillanti, mi parvero ardere della stessa rabbia che avevo in petto. «Sia gloria agli dèi.»

Castlevania: Figlio del SoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora