CAPITOLO IV.

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Sangue. Dolore. Sorriso.

Per anni, la sua vita era stato quello.

Quanti anni? Non ne aveva idea, e dubitava che lo avrebbe mai saputo con certezza.

Non aveva mai chiesto, non aveva mai cercato di contare, né gli importava.

Perché avrebbe dovuto? Avrebbe comunque trascorso tutta la sua vita in quel luogo, sapere quanto tempo fosse già trascorso non gli cambiava.

In fondo, sapeva bene di meritarselo: era giusto che lui fosse rinchiuso lí, era meglio per tutti quanti, era ciò che andava fatto e gli andava bene che fosse accaduto.

Per questo non aveva mai cercato di fare nulla più del superfluo: non sarebbe stato giusto; loro non potevano più farlo, perché lui avrebbe dovuto?

L'unico motivo per cui era ancora in vita, era perché voleva che loro vedessero che stava pagando per ciò che aveva fatto.

Ma la sua vita ormai era qualcosa di totalmente inutile e privo di significato: portarla avanti dopo ciò che aveva fatto era impensabile.

Quindi, non lo stava facendo.

Respirava, mangiava, camminava, dormiva, si lavava. Ma era tutto lì, era ciò che aveva in quel momento.

Non aveva voce, non aveva ricordi, non aveva volontà: aveva scelto di vivere come un automa, non provava neanche a non farlo, era ciò che si meritava e intendeva seguirlo fino all'ultimo.

Gli andava bene così.

Molti odiavano l'isolamento, non avere visite, non poter fare ciò che volevano; a lui andava bene, quando gli avevano detto quale sarebbe stata la sua punizione ne era stato quasi sollevato.

Perché? Perché gli avevano detto tutti che quella non era vita, e ne era consapevole anche lui.

Quella non-vita era ciò che più si meritava, e non desiderava altro.

Gli andava bene così.

Almeno, così gli era andata bene per anni.

Adesso non era cambiato poi molto, era ancora più che consapevole di ciò che aveva fatto e le conseguenze che doveva affrontare: era ancora certo di meritarsi tutto ciò che stava passando.

Però, c'era qualcosa di diverso.

Nella sua routine monotona, quel grigio che la caratterizzava aveva iniziato pian piano come a separarsi, dividendosi in vari fili bianchi e neri che si intrecciavano nella sua vita.

E se guardava attentamente dritto davanti a sé, gli sembrava quasi di riuscire a vedere qualcosa, in fondo a quei fili: qualcosa di leggermente luminoso, di dorato, qualcosa che sembrava invitarlo ad avvicinarsi.

Qualcosa verso cui non voleva andare, ma che pareva continuare a rimanere lì; ogni tanto si avvicinava, altre volte rimaneva semplicemente fermo, a fissarlo, come per attendere che lui si sentisse pronto a fare qualcosa.

Ma lui non voleva fare niente, era inutile che quella luce ci provasse: per lui, era meglio rimanere da solo nel grigio più totale.

Sentì una porta aprirsi e impiegò un attimo a comprendere che era quella della sua cella, e che qualcuno stava entrando.

- Hai delle visite-.

Il moro per un attimo non riuscì a comprendere ciò che gli era appena stati detto.

Gli avevano spiegato, quando era arrivato lì, che c'era un giorno a settimana dedicato alle visite; finché si fosse comportato bene, avrebbe potuto riceverle anche lui.

BOKUAKA-BRING YOU TO LIFEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora