𝐂𝐀𝐏. 7 - Il calore del sole in un giorno d'inverno

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La prima cosa che era saltata all'occhio del professor Kim, e non solo perché era la sua materia, era stata la predisposizione e la scioltezza di Mia nell'apprendimento delle lingue. Se era davvero la figlia di Arcane, anzi, dato che era così non era difficile immaginarlo - anche se A eccelleva in qualunque materia, tanto da essersi guadagnata il primo posto in classifica di successione a L, seguita da Beyond Birthday. Kim ricordava perfettamente la mente brillante quanto tormentata della sua, all'epoca, compagna di classe e di istituto, nonché amica, così come ricordava la pressione, l'ansia e lo stress che la portarono via troppo presto. Quando aveva incontrato Mia per la prima volta era stato come essere catapultati indietro nel tempo: i capelli neri come la pece, i lineamenti asiatici e lo sguardo vispo, ma diffidente. Per un momento Kim pensò di essere morto e aver incontrato il fantasma di Arcane fermo nel tempo; il suo secondo pensiero fu rivolto a quel farabutto. Aveva i suoi stessi occhi glaciali. Aveva digerito a stento il fatto che A si fosse innamorata di un ragazzo come quello, un sempliciotto conosciuto per caso durante una delle gite che l'orfanotrofio organizzava durante le feste o durante l'anno per fini accademici, ma poteva accettarlo in un certo senso: la felicità che Arcane aveva provato da quando Lloyd Foster era entrato nella sua vita era palese, ma non era bastata a salvarla. Comunque, trovarsi di fronte alla riprova del sentimento che la sua vecchia amica aveva nutrito nei confronti di Lloyd fu il secondo shock della sua vita, dopo aver appreso della morte della stessa. Tuttavia, nel momento esatto in cui quella bambina gli aveva rivolto il sorriso più ironico e spudorato che avesse mai visto fare ad un'anima di otto anni, il cuore di Kim era stato irrimediabilmente rapito. Qualche volta si era ritrovato a pensare che fosse un riflesso dovuto alla mancanza che nutriva nei confronti di Arcane. Il bene che le aveva voluto, dopotutto, era stato profondo e sincero. Più il tempo passava, però, più Mia si rivelava tanto affine quanto diversa dalla ragazza che Kim aveva conosciuto e ciò, a detta sua, era un gran bene. La sua fiducia aveva dovuto sudarla. Mia era tanto estroversa quanto selettiva e, soprattutto, credeva che chiunque fosse suo nemico. Poteva sorriderti e risponderti a tono; ci avrebbe sempre pensato più di due volte prima di aprirsi con qualcuno, ecco perché Kim non si stupì nel vederla andare particolarmente d'accordo con Delilah, Mello e Matt. Mia era attratta e tendeva a legarsi più facilmente alle persone che non si aspettavano niente da lei e che rispettavano le sue scelte, forse, pensò, perché nella sua giovane vita non aveva avuto modo di farlo. Non aveva scelto lei di perdere una madre e di venir strappata dalle braccia del padre. Lo capiva e provava compassione per lei, un uragano in miniatura con i capelli neri e la bretella della salopette sempre cadente. Quando Mia capì che anche Kim era degno di fiducia accadde mesi e mesi dopo il suo arrivo all'orfanotrofio. "Sai," le aveva detto un giorno dopo lezione, "hai una grafia molto simile a quella di tua madre."
Mia lo aveva guardato, ricordava l'uomo, con un misto di curiosità e sorpresa celate da uno sguardo truce, che tutto era tranne spaventoso.
"Conoscevi mia madre?"
La sfacciataggine era un'altra caratteristica che aveva piano piano imparato a sostituire con una forma di rispetto blanda, ma era comunque qualcosa. Kim aveva annuito con un sorriso nostalgico senza aggiungere altro, solo un "ottimo lavoro" mentre le riconsegnava il compito. L'aula era deserta, erano rimasti solo loro due dopo l'ultima lezione pomeridiana, ed essendo estate il sole era ancora alto in cielo: un invito, insomma, ai bambini che si erano riversati in cortile a giocare prima di cena. Mia invece si era trattenuta senza troppe cerimonie su richiesta del professore. L'interazione era terminata lì, ma a quella ne erano seguite altre sempre più frequenti, finché Kim non si era reso conto di essere diventato uno dei pochi eletti nella piccola cerchia di Mia. Oltre alla nazionalità condivisa, il motivo era stato chiaro fin da subito: lui non aveva preteso niente da lei, a differenza di altri insegnanti marchiati a fuoco dalla piccola, o dallo stesso direttore dell'orfanotrofio.
"Roger vorrebbe che io restassi qui".
Aveva quel modo di chiudersi al mondo come un normale bambino della sua età faceva quando gli veniva detto qualcosa che non gli piaceva. Solo che i primi tempi Mia si chiudeva anche con chi gli rivolgeva un sorriso gentile; se questo era seguito da parole che andavano in contrasto con quello che lei voleva o riteneva giusto non c'era verso di persuaderla. Crescendo questo spigolo del suo carattere era stato smussato dalla paziente guida del professore, ma la testardaggine, oh, quella non ci sarebbe mai stato verso di cancellarla. Quel giorno la lezione del professor Kim era stata alla prima ora; aveva deciso comunque di non dire niente e lasciare che Mia si trattenesse tutto il tempo che desiderava. Forse era troppo accondiscendente con lei, doveva riconoscerlo. D'altra parte, lei non gli aveva mai dato modo di pentirsene.
"Ah sì? Come mai?"
Mia si era seduta al primo banco appena la classe si era riversata fuori per seguire le altre lezioni* e dopo qualche attimo di silenzio passato a soppesare le parole, le aveva buttate fuori così.
"Dice che se mi impegnassi di più potrei arrivare ad essere brava come lo era mia madre. Dice anche che con una buona istruzione come quella della Wammy's House potrei addirittura arrivare a superarla e concorrere come successore di L".
Kim, ancora seduto dietro la cattedra, la ascoltava in silenzio con gli occhi puntati su di lei. Lo sguardo di Mia era sfuggente invece; ora guardava il soffitto, ora la lavagna, ora un punto impreciso oltre la finestra. Le sue piccole mani giocavano con una gomma dimenticata da qualcuno.
"E tu cosa ne pensi?"
"Che Roger è un cretino"
"Aigoo! * parole dure per il nostro vicedirettore"
"Sai quanto me ne importa" aveva sbuffato lei portandosi una mano sulla guancia.
"Lui non vede me, vede solo e sempre mia madre".
Kim, a quel punto, aveva trattenuto il respiro. Solo quando ne fu a corto se ne rese conto, espirando piano così che Mia non se ne accorgesse.
"So bene di non essere intelligente come lei, o come Mello, Near, perfino Yves che è penultimo in graduatoria, ma comunque più sveglio di me. E lo sa anche lui, quindi è inutile che continua a pressarmi per restare. Lo fa solo perché sono la figlia di A" aveva concluso Mia amareggiata.
Dopo quel giorno Kim aveva riflettuto molto sulle sue colpe, prima di tutte quella di vedere Arcane al posto di Mia, anche se aveva fatto sempre molti sforzi per far sì che quella sua egoistica nostalgia non avesse alcuna ripercussione sulla piccola. Il suo modo di trattarla e interagire con lei era rimasto invariato. Pretendere niente era inutile se in lei vedeva un'altra persona. Era stato difficile, ma alla fine Kim era riuscito a scindere Arcane da Mia e viceversa. Le avrebbe voluto comunque così bene se lo avesse fatto fin da subito? si chiese.
"Sai professore, tra tutti sei il mio preferito"
"Ah sì? A cosa lo devo?"
"Al fatto che ti fai gli affari tuoi".
Il tempo rivelò la risposta.

𝐑𝐞𝐪𝐮𝐢𝐞𝐦 || 𝑀𝑖𝒉𝑎𝑒𝑙 𝐾𝑒𝑒𝒉𝑙Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora