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L I K E   A   V I L L A I N

Donnie


L'acqua della piscina è tiepida, non so se sia per i ventotto gradi al sole o per il piscio dei bambini che ci hanno sguazzato prima di me.

Ne è rimasto solo uno e, sfortunatamente, non posso affogarlo. La madre mi fissa come un avvoltoio. Temo siano i miei tatuaggi da carcerato a incuterle timore, anche se non darei per scontato che non le piacerebbe farsi scopare da uno cattivo ragazzo come me.

Tutte cagne, giusto?

Ho standard più alti di qualche madre single e disperata. Preferisco donne della mia età, o più giovani, con le chiappe sode e le tette grosse.

Esco dalla piscina, pettinandomi i capelli all'indietro. Sono cresciuti anche troppo, mi arrivano quasi alle spalle e sarebbe ora di tagliarli.

Non siamo in California qui, le uniche cose che questa città ha in comune con LA sono il mare e le gang di latini. Be', anche le ville degli stronzi ricchi sfondati.

Ho passato la domenica a girare in macchina per il sud della Florida, fino a Palm Beach. È lì che si trovano le case più grandi, più belle e, soprattutto, vuote per le feste. Nessun ricco sano di mente passerebbe il Natale in Florida; forse solo qualche vecchio decrepito con tanti reumatismi quanti quattrini da parte, che può beneficiare delle temperature tropicali e dell'umidità costante tutto l'anno. Questo è il periodo migliore per il mio lavoro: case vuote e piene di oggetti di valore lasciati incustoditi, proprietari lontani in qualche stato pieno di neve, vicini distratti dai preparativi e festeggiamenti.

Le luminarie, poi, sono un meraviglioso diversivo.

Tanto quanto quegli orrendi Babbo Natale arrampicati alle balconate.

Strizzo l'orlo dei pantaloncini, mi do una veloce asciugata con l'asciugamano e mi stendo sulla sdraio. Il sole della tarda mattinata mi batte dritto negli occhi. Inforco gli occhiali da sole e mi ritiro sotto all'ombrellone.

Penso di essermi addormentato perché, quando apro gli occhi, il sole si è spostato in cielo e la madre e il suo bambino fastidioso se ne sono andati. Il mio costume è asciutto e sento lo stomaco brontolare.

È quasi un miracolo.

Dalla morte di Cisco mi sono nutrito quasi solo di barrette proteiche e alcol, la rabbia era troppo forte perché sentissi la mia stessa fame. Forse ora sono tornato me stesso, forse ho ripreso un po' del mio controllo.

Ubriacarmi, drogarmi e scopare forse hanno aiutato. Sicuramente lo ha fatto cambiare aria.

Salgo nella mia stanza e mi cambio. Infilo un paio di jeans larghi, una canottiera nera e una camicia a maniche corte dello stesso colore, aperta sul petto. Prendo il portafoglio e le chiavi della macchina ed esco dal Motel.

Non appena salgo a bordo della mia Sierra, chiamo Andy al telefono.

Risponde al quarto squillo. «Pronto?» La sua voce sembra assonnata, con tutta probabilità è strafatto.

«Ehi, fratello. Sei a casa?»

«Sì. Sono con Rick» bofonchia lui.

«Ottimo» esclamo, mettendo in moto. Ho proprio bisogno di parlare con entrambi. «Sto arrivando da voi. Vi porto da mangiare per pranzo, avete qualche richiesta?»

«No» risponde Andy. «Va bene tutto.»

«Ehi, Donnie!» È la voce di Rick, deve aver preso in mano il telefono. «Passa dalla Taqueria sulla Sessantasettesima, fa dei tacos spaziali!»

DARKTOKEN || Dark romanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora