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L'ultima tacca del cellulare è andata.
Fuori c'è una quiete inquietante. Le notti afose mi mettono una strana angoscia che non riesco a spiegare. La città deserta nel mese di agosto è come bloccata, senza auto che ingorgano le strade o gruppi di gente che affollano i marciapiedi.
Non avevo notato che fosse arrivato quel periodo.
È difficile notarlo in un edificio alto quando la Torre Eiffel. Non soffrire di vertigini è una fortuna.
Forse non dovrei trovarmi qui. Di notte ad osservare questa città silenziosa, in un posto in cui non dovrei neanche essere. Il divano del suo ufficio è così comodo... l'avevo pensato anche tempo fa, mentre il suo corpo era sopra il mio.
Vorrei che fosse qui, ma al contempo preferisco che non sappia dove mi trovo, anche se trovarmi sarebbe veramente facile. Basterebbe aprire la porta del suo ufficio. Ma forse è troppo impegnato con un'altra per farlo. D'altronde, chi si presenterebbe in ufficio alle tre di notte, quando potrebbe fare ben altro, se non io.
«Sono tre giorni che non rientri.»
Ed a quanto pare anche lui.
«Avevi detto tu di non volermi più vedere.»
«Ero arrabbiato. Non dicevo sul serio.» il suo tono serio, alle mie spalle, mi fa sentire i brividi lungo il corpo.
Tutto di lui mi provoca questa reazione.
«Pondera meglio le tue parole, allora. Non sono una traduttrice e non vivo nella tua testa.» ribatto con voce stanca, continuando ad osservare il panorama.
Odia quando le persone non lo guardano negli occhi.
«Dove sei stata?»
«Che ti frega?» rido e la sua mano afferra la mia spalla, costringendomi a girarmi verso di lui.
I suoi occhi sembrano oro colato.
«Mi interessa, T/n.» sibila, ed io percepisco quanto abbia voglia di dire altro.
«Non è affar mio, però.»
Alla mia risposta lui si allontana di qualche passo, sospirando e portandosi le mani tra i capelli. Le dita scivolano tra quei fili biondi, mentre quell'espressione stanca gli adorna il viso.
