Aria. Finalmente poteva respirare senza sentire l'odore acre dei prodotti per le pulizie che usavano in quel posto. Sapevano di alcool, di asetticità. La cosa che odiava di più erano le coperte, così rigide sulla sua pelle da creargli prurito. Ma ora era fuori, ora era libero dopo mesi. Sembrava così strano, finalmente, poter fare ciò che voleva, anche se non si sentiva veramente pronto. Lo avevano avvisato, ci sarebbe comunque voluto del tempo per trovare il suo equilibrio e non doveva mettersi fretta. Fece un lungo respiro, cercando di abituare gli occhi alla luce. Sentiva un groppo in gola, per un attimo si voltò verso l'ingresso e fu tentato di rientrare. Si sentiva quasi risucchiato da quel tunnel di mattoni rossi, come se un eco lontano lo richiamasse.
"Non te ne andare" lo sentiva dire, eco di una sirena lontano e perso nell'oscurità. La voce di sua madre sembrò scacciare via ogni pensiero insensato, ogni dubbio e incertezza. Simone voltò lo sguardo, lasciandosi il tunnel alle spalle, lasciando una parte di sé indietro persa nei meandri di quelle stanze tutte uguali. O almeno così sperava. I suoi genitori lo attendevano nel vialetto, appoggiati alla macchina. Sembravano contenti di vederlo e al contempo timorosi, quasi avessero paura di avvicinarsi a lui. Stettero qualche momento in silenzio, cercando di capirsi a vicenda. Ma come potevano loro capirlo, nessuno poteva capirlo. Nemmeno lui, nonostante fosse passato tutto quel tempo, riusciva a capirsi.
"Simo, dai vieni. Come ti senti?"
Simone scese i gradini di marmo, veleggiando sulla ghiaia mentre si avvicinava a loro. Il rumore dei ciottoli gli riempì le orecchie, l'odore della terra pervase le sue narici. Era come se i suoi sensi si fossero acuiti e lui stesse camminando per la prima volta su un suolo alieno. Ogni passo sembrava sempre più pesante, il suo petto sembrava stringersi fino a farlo soffocare. Deglutì con molto sforzo e aprì la bocca cercando di salutarli, ma ne uscì un rantolo incomprensibile. Suo padre si staccò dall'auto senza dire nulla, avvicinandosi a lui. Si fissarono un istante, a circa mezzo metro l'uno dall'altro. Con uno scatto, suo padre lo abbracciò stringendolo forte. Simone affondò il viso nel suo petto, con le braccia tese lungo i fianchi totalmente inerme. Poteva sentire i battiti del cuore di suo padre, faceva lo stesso suono delle sue meningi. Sentiva pulsare il sangue nella sua testa, sentiva il sangue scorrere nelle vene di chi gli aveva donato la vita, ma era sempre stato distaccato e freddo. Forse tutto quello che era successo a qualcosa era servito, suo padre ora sembrava dimostrargli un po' di affetto. O forse era stato Simone a non coglierlo negli anni passati, forse il distacco dai suoi genitori era stato solo colpa sua. Colpa, una parola che lo aveva accompagnato in quei mesi. Quando si staccò da suo padre, sua madre gli accarezzò il viso sorridendogli, tentando inutilmente di trattenere le lacrime. Sembrava felice. Simone si accorse di come la sua mente analizzasse tutta la situazione, in maniera lucida e molto metodica. Da quando aveva varcato la soglia, sentendo l'odore dei campi avvolgerlo, si era come risvegliato da un lungo sonno. Si sistemò sul sedile posteriore, sua madre chiuse il portellone dell'auto dopo aver messo la valigia nel bagagliaio. Il suono della portiera anteriore destra che si chiudeva e quello successivo del click della cintura, sancirono definitivamente la fine di quel periodo. Aveva ragionato molto sul dopo, soprattutto la sera prima.
"Cosa farò ora?" Si era chiesto. Ma non c'era stata risposta, se non qualche urlo a cui si era ormai abituato. Non poteva dire quanto tempo ci avesse messo per prendere sonno, il suono della campana della cappella provò inutilmente a scandire il tempo per lui con i suoi rintocchi. Aveva provato a contarli, inutilmente, rigirandosi su quel materasso così duro. Poi si ricordò degli anni passati, e si avviluppò come in una crisalide. Non ricordava di aver sognato, ma pregava da tempo di non farlo. Le poche volte che sognava, non erano mai sogni piacevoli.
La campagna sfilava oltre il finestrino, i suoi stavano in silenzio e Simone faceva altrettanto. Alla radio stavano dando le ultime notizie, come negli scorsi anni lo speaker diceva essere l'estate più torrida della storia. Eppure Simone sentiva freddo fin nelle ossa, incrociò le braccia e appoggiò la guancia al finestrino cercando un po' di calore. Ci misero circa tre ore per arrivare a casa, fecero tappa all'autogrill per un caffè e per mettere qualcosa sotto i denti. Il pane stantio e il formaggio chimico sembravano il miglior pasto della sua vita, dopo mesi di cibo che pareva non avere una consistenza ben definita. Suo padre lo accompagnò in bagno e rimase ad aspettare fin quando Simone non ebbe finito di fare i suoi bisogni. Per quanto a lui desse fastidio, era una cosa a cui doveva abituarsi. Uscì e sentì lo sguardo di suo padre su di sé, si lavò le mani e gli passò accanto. Non aveva voglia di parlare con lui, a dire il vero non aveva voglia di parlare con nessuno. Passando davanti alla cassa intravide l'espositore delle sigarette, fu tentato di fermarsi a prenderne un pacchetto ma avrebbe significato indirettamente farsi del male. Con la testa china attraversò le porte scorrevoli e fu di nuovo all'aria aperta. Il rumore delle auto che correvano lungo l'asfalto gli ricordò la notte di qualche anno prima, mentre aspettava Zamon ritornare dall'autogrill.
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Oltre la finestra
RomanceSara è una ragazza che ha perso tutto, nel tentativo di esprimere se stessa. La sua stanza è il suo luogo sicuro, quello da cui si ripara dal mondo che continua a farle male. Oltre la finestra, vede scorrere la vita di Simone, la vita che ha sempre...