"Le confesso che sono orgoglioso dei progressi che ha fatto in questi dieci mesi. Ciò nonostante ho il timore che finiti i nostri incontri lei torni allo stato iniziale" mi confessa lo psicologo.

Durante la mia convalescenza mi ha aiutato molto: ho finalmente compreso che al mondo non sono sola. Ci sono delle persone di cui io posso fidarmi ma sta a me capire chi lo merita. Non posso pretendere di non soffrire ma confidarmi con qualcuno mi permette di non tenere tutta la rabbia e la tristezza per me ma di sfogarmi senza recarmi del male.

"Dottore, io non voglio che questi incontri finiscano. Io ho bisogno che lei mi aiuti a capire cosa fare, come gestire le mie emozioni e capire a chi affidarmi. Non mi abbandoni anche lei" supplico abbassando lo sguardo sulle mie mani, come se temessi la risposta.

In questo periodo non riesco a fare a meno di continuare ad accarezzarmi e guardare le mani. Per la prima volta, dopo tanto tempo, sono belle, sono pulite dal sangue e sono prive di cicatrici.

"L'ospedale mi ha ordinato di seguirla finchè io lo avrei ritenuto necessario; a questo punto io credo vivamente che lei sia pronta ad affrontare tutto quanto senza il mio sostegno. Ciò nonostante io non posso negarle il mio aiuto se lei lo necessità. Cosa ha deciso di fare ora che ha il via libera dei medici?" mi domanda con un'intonazione diversa da quella che usa quando mi analizza, come se fosse davvero interessato alla mia risposta, come se in questi mesi si fosse affezionato a me.

"Ho deciso di tornaci. Ho bisogno di farlo. Vede, in questo periodo ho capito che ho fatto male a fidarmi ma su una cosa aveva ragione: l'accademia è l'unico modo per avvicinarmi a mio padre. Dentro di me so che c'è qualcosa che a me e mia madre non hanno detto, qualcosa che io devo sapere per poter smettere di soffrire - spiego continuando a mantenere lo sguardo basso - Sto facendo la cosa giusta?" domando guardando il dottore negli occhi per la prima volta da quando è entrato.

"Il mio lavoro non è dirle se sta facendo la cosa giusta o meno, il mio compito è faglielo comprendere da sola. Le confesso che non sarà facile per lei mettere di nuovo piede in accademia. In questi mesi è cose se si fosse intossicata da tutto il male che dominava sulla sua vita. Varcare quella soglia significa tornare alla realtà e smettere di parlare per ipotesi. Ciò vuol dire che dovrà rivivere il dolore del lutto e dell'incidente, ma soprattutto dovrà avere a che fare con lui. Durante il nostro percorso ha detto il suo nome una sola volta. Si sente pronta ad affrontarlo tutti i giorni?" chiede con un filo di voce per paura di ferirmi parlando di lui.

"Sinceramente? No, non sono pronta ma probabilmente non lo sarò mai. Per colpa suo non sopporto nemmeno il tocco di mia madre, mi ha traumatizzata ma lui ha passato con mio padre i suoi ultimi giorni. Io devo sapere" spiego.

"Presumo, allora, che questa sia la giusta scelta. Ricordi il nostro patto" conclude il dottore salutandomi presubilmente per l'ultima volta.


"Mal, lo sai che io non sono d'accordo su questa tua decisione" mi ricorda mia madre mentre stiamo sedute, in macchina, fuori dai cancelli dell'accademia.

"Lo so, ho paura anche io" confesso stringendo la sua mano ma mantenendo lo sguardo su quei muri freddi.

"Allora perchè lo fai?" mi domanda la donna seduta accanto a me con un po' di paura nella voce.

"Non so come spiegartelo mamma, lo devo fare per papà" le spiego con le lacrime che minacciano di uscire.

"Lui non ha mai voluto che tu ti arruolarsi" mi contraddice.

"Ti prego mamma, fammelo fare. Se che se non entrassi me ne pentirei per tutta la vita" supplico con le prime lacrime che mi scendono.

"Mi prometti che starai attenta e che non dovrò mai più venire a prenderti in ospedale?" mi domanda mentre piange anche lei.

Tale padre, tale figliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora