Alla rovescia

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Chiaro che deve starci Simone, in ospedale.

Anche se lui gli ospedali non li può vedere, anche se avrebbe più senso che ci stesse chiunque altro.

Chiunque, pure Manuel.

Ma sua madre non fa altro che piangere, che fa agitare suo padre – così dicono i medici – e Anita non riesce proprio a gestirlo, non ce la può fare, si sente svenire.

E poi suo padre vuole lui, pare, per una volta nella vita, lo cerca con un fare affannoso e quasi disperato che a Simone fa venire il voltastomaco. Se non c'è, fa il suo nome a chiunque si ritrovi in camera. Se c'è, cerca di dirgli qualcosa, e non ci riesce. Si frustra, e a Simone tocca pure confortarlo.

Se dicesse queste cose a qualcuno passerebbe per uno stronzo senza cuore, ma che ne sanno che è pure troppo buono a venire qua tutti i santi giorni? Che suo padre ha qualcosa da dirgli solo adesso che è arrivato a un passo dalla morte, e che fino a ieri non gli faceva differenza se Simone c'era o non c'era?

Simone guarda il liquido nella flebo gocciolare. Scandisce i secondi rallentati e sempre uguali in quella stanza, sembra scavargli il cervello. E poi il beep incessante dell'elettrocardiogramma, che pare una macchina della verità – Simone è convinto che riesca a leggergli il pensiero, perché basta che guardi male il padre per farla impazzire.

Suo padre fa un verso che ormai Simone ha capito essere quello della sete. Si allunga e gli prende il bicchiere d'acqua con la cannuccia, e glielo tiene mentre beve. Preferisce agire subito che provare a farlo parlare. Le parole gli escono annaspanti, strascicate, contorce la faccia per dirle bene, e Simone non sa se vederlo così gli provoca più pena o rabbia. Rabbia cieca. Niente di quello che prova Simone ha più dove andare a finire. Non può arrabbiarsi con suo padre, che non ha più la risposta pronta e tagliente, né può più attaccargli uno dei suoi pipponi manipolativi. E non può nemmeno essere gentile con lui – la gentilezza il padre se l'è giocata più di dieci anni fa, e non la può pretendere solo perché ha un danno cerebrale.

Quindi Simone non fa niente. Sta. Guarda la flebo, e i tubicini che spariscono sotto il lenzuolo, e la bocchetta dell'ossigeno al muro, che per qualche motivo lo fa sentire come se non riuscisse a respirare lui.

Oltre al danno, la beffa – i medici e gli infermieri lo guardano e gli sorridono, impietositi, inteneriti, probabilmente prendendolo per un figlio devoto.

Non vuole che suo padre muoia. È stato il suo primo pensiero quando l'hanno chiamato, nel cuore della notte, due settimane fa. Non morire.

Vorrebbe che vivesse, anche cent'anni. Lontano da lui.

E invece eccolo lì. Pare che stia mettendo radici in questo letto. Non tanto come un albero quanto come un'erba infestante, che ti giri un attimo e ti ha riempito i giardini, che sbuca pure dall'asfalto. Che non fai in tempo ad estirpare, e torna.

L'erba cattiva non muore mai, ma stavolta ci è andata sorprendentemente vicina.

Gioia entra in camera con il suo solito passo felino, e Simone si accorge che è là solo perché ha in mano un mazzo di fiori tutti diversi grande più della sua testa. Li mette in un bicchiere di vetro lungo, e gli fa un sorrisino. "Tuo padre ha un ammiratore segreto."

Simone mette il bicchiere sul comodino. Immagina che siano da parte di Anita, che forse si sente in colpa. "Mica uno solo."

Lei ridacchia. "Questo si firma Mimmo. Lo conosci?"

Il padre si riprende dal torpore. "Mimmo?" Domanda. La parola gli esce stranamente chiara, e gli occhi gli si illuminano. Alza un po' la testa dal cuscino. "Fai — porta — vedere." Insiste.

La Cuenta - Mimmo & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora