14. RIFLESSI E RITORNI I

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Ci stavamo squadrando da quelli che sembravano minuti interi. Occhi contro occhi. 

Andrea stava appoggiato al muro di quella caverna come a volerla sorreggere, mentre mi fissava intensamente. 

Improvvisamente, mi sentii rimpicciolire sotto il suo sguardo. Ovviamente volevo parlare, lo avevo voluto da un anno; ma, ora che il momento era arrivato, mi resi conto che il nodo in gola era più stretto di quanto sembrasse.

L'intensità dello sguardo di Andrea sembrava attraversare ogni barriera, scendendo nel profondo della mia anima. Il muro della caverna, in qualche modo, amplificava la tensione tra di noi, come se il nostro confronto avesse luogo in un microcosmo isolato dal resto del mondo.

«Dobbiamo continuare a fissarci in cagnesco ancora per molto?» sbottò.

Evitai lo sguardo. «Non sono io che deve cominciare?»

Andrea inarcò un sopracciglio ma non rispose.

Il silenzio instaurato tra noi era pregnante, carico di significato e di parole non dette. La consapevolezza del desiderio di parlare, mescolata all'emozione e alla paura di affrontare la verità, creava un'atmosfera carica di tensione e aspettativa. E mentre la caverna sembrava custodire i nostri segreti, il muro contro cui Andrea era appoggiato diventava un simbolo visibile della forza e della fragilità del nostro legame.

Eppure, improvvisamente, quel sentimento scemò sotto il peso della nostra volontà e, forse, del nostro sentimento.

«Perché te ne sei andato?» gli chiesi, flebile.

«Mi hai cacciato.»

«Sei scappato!» risposi.

Lui sospirò e si staccò dal muro, avvicinandosi. «Non sono scappato. Tu mi hai cacciato. Mi hai cacciato senza rendertene conto!»

Era ridicola questa situazione. Sembrava un cerchio infernale in cui io e lui eravamo caduti da un anno, continuavamo a darci colpe a vicenda ma nessuno di noi riusciva a farsi capire dall'altro.

La frustrazione crescente si dipanava tra di noi come un labirinto senza uscita. Ogni tentativo di comunicare sembrava portare solo a reciproche incomprensioni e a un perpetuo gioco di colpe. Il circolo vizioso in cui eravamo intrappolati sembrava non avere fine, e la sensazione di impotenza cresceva ad ogni tentativo fallito di superare le barriere che ci separavano.

La mancanza di comprensione reciproca faceva sembrare la situazione ancora più assurda, come se stessimo combattendo una guerra senza sapere realmente cosa stavamo cercando di ottenere. La consapevolezza di questo ciclo distruttivo era evidente, ma rompere il pattern sembrava un compito insormontabile in quel momento.

«Allora, dimmi...» gli ordinai «..come ti avrei cacciato?»

«Ti ricordi quel periodo?» cominciò, titubante «Il periodo subito prima e subito dopo l'uscita del primo disco e del conseguente tour.»

Annuii. Come avrei potuto dimenticarlo? Era stato l'inizio della fine.

«Io ti vedevo da fuori. Ti vedevo splendere ed ero contento di questo. Sapendo che, una minima parte, era anche merito mio. Ma, contemporaneamente, tu mi hai chiuso fuori. Ti dichiaravi sempre senza nessun compagno, non volevi che ci vedessero insieme, non...»

«Era per proteggerti!» lo interruppi brusca «Sapevo che tu amassi la tua riservatezza e la tua solitudine più di qualunque altra cosa.»

La tensione tra di noi era palpabile mentre le parole del passato venivano tirate in ballo. I ricordi di quel periodo sembravano emergere come spettri, riportando alla luce le emozioni contrastanti di allora. La dichiarazione di lui metteva in evidenza il conflitto tra la gioia per il successo e la fatica nell'affrontare la crescente distanza tra noi.

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