Lezione numero 9: il dolore è necessario.
E' arrivato il momento di fare ritorno nello studio di Mauro che mi ha tenuto compagnia per quattro mesi durante i quali ho scoperto me stessa, ho imparato a conoscere i miei demoni interiori e a familiarizzare con loro.
Quella piccola stanza era accogliente, così tanto che avresti chiacchierato con lo psicologo come avresti fatto con gli amici davanti una birra il sabato sera. Mi ero imposta, però, un limite come se temessi che persino la professionalità di Mauro sarebbe stata compromessa o in qualche modo perplessa dinanzi ai miei pensieri più intimi e deviati.
Se c'è un aspetto che più mi spaventa di me è la propensione al dolore, sia fisico che morale (con una particolare inclinazione verso quest'ultimo).
Il piacere di vedere la mia pelle marchiata da segni di percosse che inevitabilmente assumono un colorito viola e successivamente giallastro, le cicatrici come conseguenze di graffi fin troppo profondi la cui crosta ormai è diventata parte di me e il sangue sgorgare dal mio corpo come una stampigliatura indelebile.
Per non parlare del bisogno di avvertire una pressione al petto che si espande fino alla gola la quale si serra piena di lacrime non palesate, gli occhi gonfi e rossi dopo un pianto interminabile e i singhiozzi soffocati da un cuscino che non è abbastanza insonorizzato.
Quel dolore che, successivamente, mi porta il sorriso di chi si è appena sniffato la sua dose giornaliera di metanfetamina.
Le orecchie riempite di canzoni tristi che mi torturano dolcemente il cuore in una ninna nanna fatta di sofferenza essenziale per la mia mente malata.
Ed io necessito di un dolore morale così forte da farmi desiderare di sparire per sempre per portarmi a volere ancora di più la vita dopo.
Cosa avrebbe detto Mauro se avesse saputo tutto questo? Come mi avrebbe guardata? Quale sarebbe stata la sua diagnosi?
Proprio per questo avevo deciso che non l'avrebbe mai saputo.
Nel frattempo, però, aveva scoperto il mio più grande segreto.
La donna che si era presentata come la più dolce e comprensiva che i miei anni di elementari non mi avevano mai portata ad incrociare, aveva preso le sembianze più spaventose di uno dei mostri di Monsters & Co.
I suoi non erano tentacoli ma artigli, i suoi non erano denti ma fauci che ti masticavano per bene per poi sputarti così da sbranarti di nuovo, la sua non era una voce urlante ma il tono di un demone inferocito che si sarebbe appropriato della tua anima e l'avrebbe portata con sé all'inferno, sarebbe bruciata con lei e non l'avresti avuta più indietro. Ero piccola e i miei nonni paterni stavano poco bene. Stare a casa significava convivere con la consapevolezza che li avrei persi entrambi nel giro di pochi mesi ed è esattamente quello che è successo. Mia nonna Maria se n'è andata il 18 febbraio del 2015 e mio nonno Marcello l'ha raggiunta il 28 maggio dello stesso anno a causa della mancanza che l'ha divorato fino a consumarlo. Nonostante questo la mia sofferenza non terminava di certo all'interno delle mura casalinghe bensì si protraeva persino durante le cinque ore scolastiche a cui ero obbligata a partecipare.
La quinta elementare si stava rivelando il posto in cui il mio cuore si spezzava ad ogni parola umiliante che la maestra mi rivolgeva.
Io ero una stupida, un'ignorante e un'incapace.
Così venivo messa in un angolo con il visino rivolto al muro, gli occhi bassi e il dolore che mi squassava persino le viscere ma non dovevo osare piangere altrimenti la situazione sarebbe definitivamente degenerata.
I miei compagni non osavano parlarmi in quanto le conseguenze sarebbero state disastrose anche per loro. Era bastato questo per persuaderli a non avvicinarsi a me.
Non mangiavo, non bevevo e non andavo in bagno. Semplicemente stavo in piedi a fissare l'azzurro sporco delle pareti scolastiche nel tentativo di trovare tra le crepe un sprazzo di felicità che mi era stato sottratto malamente ed io non avevo potuto impedire che l'accaduto avvenisse.
Il labbruccio tremava, ma io scuotevo la testa ripetendomi più volte che dovevo essere forte.
Le cinque ore passavano, io ritornavo a casa ma la mia mente era catalizzata in quei momenti in cui tutto il mio mondo smetteva di girare. I capricci per non andare a scuola erano arrivati e la mamma era disperata. Non potevo dirle che cosa stava succedendo con tutti i pensieri che aveva, così chinavo il capo e tenevo nel cuore il mio supplizio.
La maestra si era presa una settimana di malattia e durante quei sette giorni il mio sorriso era rispuntato tre le pieghe del mio malessere come il sole appare squarciando con i suoi raggi luminosi e caldi le nuvole grigie. Tuttavia la felicità ebbe breve durata poichè, al termine di quella settimana, la maestra era ritornata e con lei anche il mio incubo da cui, non sapevo ancora, avrei faticato a svegliarmi.
Sono passati otto anni da quegli episodi che Mauro, con una sconvolgente naturalità, ha definito abusi infantili.
A quel punto avevo spalancato gli occhi in preda al panico che mi aveva inondata come un fiume in piena.
Che diavolo diceva? Abusi? Io? MAI.
Non avrei MAI pensato che potesse succedere a me. Perché, chi ero io di così speciale da non poter essere intaccata da eventi così spiacevoli durante il corso della mia vita? Eppure ero talmente sconvolta che, fregandomene di risultare maleducata, lo avevo zittito con un gesto della mano. Lui si era fermato confuso, ma in quel momento non mi andava nemmeno di dargli spiegazioni. Non volevo sentire niente del genere.
Io non ero stata abusata. A me non sarebbe mai capitato nulla di simile.
Sentivo che dentro di me fosse stato premuto una specie di interruttore che segnava l'inizio di una fase in cui la negazione aveva preso il sopravvento. Così scuotevo la testa quando le parole di Mauro avevano preso a rimbombare più di quanto volessi all'interno del mio tormento che stava diventando una tortura giornaliera. Avrei voluto gettarmi in ginocchio disperata ben consapevole di non poter fuggire dalla mia stessa mente. Era proprio questo a generare il panico che generalmente si estendeva all'interno del mio corpo seminando sintomi che avrei voluto non provare mai nella mia vita.
Gli episodi spiacevoli e particolarmente traumatici che avevano caratterizzato il mio ultimo anno di elementari mi avevano cagionato la paura di toccare i bambini. Temevo di fare loro del male. Da qualche parte avevo letto che vi erano state diverse occasioni in cui una vittima di abuso (che sia fisico, mentale o sessuale) diventava il carnefice. A quel punto era nata la paura di me stessa e la scarsa fiducia che riponevo nella sottoscritta quando vi erano dei teneri fanciulli intorno a me. Il timore di infliggere loro anche solo una ferita che li avrebbe accompagnati per tutta la vita era più grande della voglia matta di stritolarli a me, per dimostrare il mio incanto quando guardavo i loro tratti innocenti e puri, inspiravo il loro odore infantile e ascoltavo ammaliata i loro dolci versi.
Avrei voluto lasciare che stringessero le mie dita tra le loro falangi così piccole e delicate che allo stesso tempo avevano il potere di stringere il mio cuore e, con un pianto, farlo in mille pezzi.
Avrei voluto strofinare la punta del naso contro la loro guancia tenera per poi stamparci sopra un bacio delicato, così tanto che non avrebbero avvertito nemmeno il contatto.
Tuttavia l'angoscia si appigliava a me in una morsa mortale stritolandomi violentemente tra le sue fauci e masticandomi con l'impazienza di chi non vede l'ora di ingoiare ogni mio respiro per mozzarlo definitivamente e lasciarmi morire.
Quando avevo confessato il mio timore a Mauro dichiarando fermamente di non voler diventare per nessun motivo al mondo come il mostro che mi aveva marchiata con cicatrici indelebili, lui mi aveva rassicurata dicendo che quelli in cui la vittima tendeva ad adottare gli atti subiti erano casi del tutto rari e completamente distanti dal mio.
Per poco non avevo urlato di gioia, ma mi ero trattenuta avvertendo nel mio petto ancora un senso di inquietudine e di dubbio nei miei stessi riguardi, non riuscendo a confidare totalmente su me stessa come avrei voluto. In ogni caso, da quel giorno in poi sono stata più sciolta con le creature che hanno il potere di farti sorridere con una sola smorfia, ma non riesco ad abbandonarmi completamente alla loro presenza innocente.
Ciò non mi impedisce, però, di provare a fare dei passi avanti seppur con molta fatica.
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THE TRUTH
Aktuelle LiteraturAhimè mi tocca iniziare con una premessa che alle persone che la riguardano potrebbe non andare bene, ma io voglio che questo libro sia una vera e propria copia della realtà perciò non cambierò idea. Generalmente si utilizza uno pseudonimo per celar...