•Capitolo XII

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Freddo, buio. Oh, ho qualcosa di appuntito sulla pelle. Ahia.

Sento la testa scoppiarmi, sia le braccia che le gambe sono intorpidite e... umide. Che succede? Provo ad alzare la testa, ma tutto ciò che riesco a fare è strappare dalle mie labbra un mugolio di dolore. Non capisco, dove sono finita? Questo non è il palazzo reale, non è nemmeno la mia dimora terrestre. Devo farmi coraggio, così con un colpo secco giro il mio corpo, ritrovandomi a fissare uno strano soffitto di rocce gocciolanti.

- Dove sono? - esalo al vento; non mi aspetto che qualcuno mi risponda ma, stranamente, una voce giunge inaspettata alle mie orecchie.

- In una grotta naturale, stavi annegando e ti ho portata qui; dobbiamo ritornare in superficie.

Alzo il busto con una velocità tale da destabilizzare il mio corpo, per un momento sento il mondo vorticare attorno a me. Questa voce... io la conosco, ma di chi è? Non trovo risposta, fino a quando non decido di volgere il viso alla mia sinistra.

Derek è appoggiato svogliatamente su uno spuntone di roccia, sorregge la testa quasi come se volesse estirpare qualcosa da essa, magari un'emicrania o un pensiero. Sono sicura che anche il migliore dei fotografi, adesso, non riuscirebbe a catturarne tutta l'essenza e il fascino. È indescrivibile, sembra una specie di dio della luna. La sua bellezza sembra angelica, ma non lo è più: la dolcezza di quei lineamenti è mutata in qualcosa di altrettanto delicato, ma subdolo, tetro e cupo. Triste.

- Tu... io... cosa?! - farfuglio; inutile dire che non riesca nemmeno a formulare un pensiero di senso compiuto.

Mi alzo in piedi, ma sento le gambe cedere, così cado in ginocchio, catturando l'attenzione del ragazzo. - Ti senti bene? - chiede infatti.

- Sì... sì, sto bene - mormoro, ancora spossata. - Cosa è successo? - domando, la testa che pulsa. Mi osservo intorno: sono in uno spiazzo in una caverna rocciosa; stalattiti gocciolanti che incombono sopra la mia testa. Poco più in là il terreno roccioso cambia, scurendosi notevolmente fino a diventare di un nero pece. Le pareti si avvicinano, formando un tunnel all'apparenza angusto. Ora che ci penso, è presente lo stesso tunnel dall'altra parte della grotta, solo di un colore molto più chiaro; è come se in realtà fossimo a metà di un lunghissimo tunnel, e la grotta solo uno spiazzo.

- Stavi annegando e... - inizia lui. Poi sospira.

- E mi hai salvato - concludo io. Il cuore freme nel mio petto e capisco anch'io di diventare rossa.

- Non me lo ricordare. Mi rendo solo ora conto di quanto sia stato idiota... - afferma guardando il vuoto e sospirando, come se si fosse pentito. Mi sento un po' ferita, ma non importa.

Mi alzo un po' a fatica. - Mi hai salvato - bisbiglio, ancora paonazza in viso. Lui si gira e mi guarda con quei suoi pozzi grigi scuotendo la testa, poi ritorna a guardare il vuoto.

Si alza e va a recuperare la sua camicia, poi ritorna da me e mi dice, sempre con il suo solito sguardo gelido: - Non ti scaldare, non l'ho fatto per te.

- Sei più freddo di un pezzo di ghiaccio sai? - inizio, leggermente irritata. - Potevi benissimo evitare, allora. - concludo stizzita.

Lui continua a fissare un punto nel vuoto, alza la testa e sorride leggermente, sembra così triste.

- Certo che sei dannatamente permalosa - afferma semplicemente. Mi guarda, io rimango immobile a fissarlo; perché ha sempre quello sguardo così malinconico? Sembra provare una profonda solitudine, che maschera abilmente con il suo caratteraccio e il suo fare scostante, freddo. Alza un sopracciglio. - Puoi anche evitare di sbavare. - continua con un sorrisetto. Continuo a fissarlo, cercando disperatamente di capire cosa passi per la sua mente nei suoi pozzi d'argento fuso, ma come sempre non riesco a leggere niente: come può essere una persona proprio di fronte a te, sembrare così lontana?

WitheredDove le storie prendono vita. Scoprilo ora