•Capitolo V

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Ritorniamo a casa smaterializzandoci per la seconda volta, proprio nel mezzo del salone; Alya si accascia sul divano, io sulla poltrona. — È una collana bellissima! —afferma, dopo essersi ripresa. — Accidenti, non è giusto! — sbotta. — Facciamo scambio? — mi propone con un sorriso innocente.

— Se vuoi...

— Ma no, scherzo! La polvere è molto più divertente — Lei alza le sopracciglia ed entrambe scoppiamo a ridere per la piega perversa che ha assunto il suo viso. 

Osservo con più attenzione lo smeraldo: è così brillante, i miei occhi non ne vogliono sapere di spostarsi da quella pietra lucente. È quasi ipnotico. Senza sapere il motivo, decido di provarmela, osservando la mia figura allo specchio. Sembra vibrare, sfavillare. Che cos'ha la mia testa? Perché improvvisamente mi brucia così tanto? 

Forse è meglio lasciar perdere, penso, mentre scivolo immediatamente in un sonno di piombo.

* * *

Tossisco ancora una volta e mi stringo nella giacca della divisa, ma è leggera e non compensa il gelo che sento stridere nella pelle e nelle vene. Le mie palpebre sono macigni e sento il mio corpo prosciugato, come se qualcuno avesse aspirato tutta la mia forza vitale.

Mi sono svegliata con ancora lo smeraldo attorcigliato il collo, e dopo vari incoraggiamenti di Alya, ho deciso di tenerla perfino per andare a scuola, perché a parer suo era: «Troppo fantastica per toglierla». Fin da subito ho riscontrato un abbattimento fisico e mentale, ma ho deciso di ignorarlo; più il tempo passa, più sento la mente offuscata.

— Sei sicura di sentirti bene? Sei pallida come un cencio — obietta Alya, fissandomi dubbiosa.

— No... no, ce la faccio — mormoro, passandomi una mano sulla fronte. È imperlata di sudore freddo, e questo mi fa inorridire. Arranco fino alla classe, dove stento persino a stare in piedi; mi butto sul banco, osservando per caso il mio riflesso sulla finestra: sono bianca in viso, ho le labbra di un inquietante color cianotico. Che mi sta succedendo? Non ricordo che i sintomi di una febbre fossero questi.

— Stai invadendo il mio banco, fiorellino — Ancora prima di potermi stupire del fatto che Derek mi abbia rivolto la parola, sento il mondo vorticare attorno a me. Pensa Abigail, pensa! Non riesco ad elaborare un solo pensiero sensato, il mio cervello è offuscato da una nebbia velenosa. — Che cos'hai? Non sembri stare molto bene. — Oh, ma dai! Incoroneremo questo ragazzo «Re della Perspicacia»!

— Io... io non... — esalo, prima di crollare definitivamente su di lui. Ho coscienza del mio corpo, ma non riesco a muovere nessun muscolo; so che sono sveglia, ma non sento né vedo niente. Questa sensazione di impotenza mi sta soffocando. Non ho idea di quanto tempo passi prima che il sangue ritorni a circolare nelle mie vene e i sensi ritornino quasi con violenza. Mi alzo, spaesata e con una forte emicrania. — Cosa... che è successo? — sussurro, passandomi una mano sul viso. Focalizzo la mia attenzione sul mio vicino di banco e il suo sguardo non perdona: trafigge, massacra il mio corpo in tanti brandelli. Le sue iridi d'argento perforano le mie con estrema facilità. Sussulto, non capendo il perché di quello sguardo. — Cosa ho fatto? — domando infatti dubbiosa.

— Chi te l'ha data? — sputa. Sfoggia la collana lasciandola penzolare per la catenella.

— Perché?

— Chi te l'ha data? — ripete, questa volta più deciso.

— Una... un'amica — replico.

Il suo sguardo si addolcisce e si lascia addirittura scappare un sospiro. — Tieni, ora puoi metterla — Mi passa la collana senza nemmeno girarsi e io la prendo all'istante.

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