▪️17. Faccia in giù

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«Che cazzo di posto» mormoro afferrando mio fratello per la felpa e attirandolo a me schivando appena in tempo un gruppetto di ragazzini ubriachi pronti a finirgli addosso e calpestarlo pur di passare

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«Che cazzo di posto» mormoro afferrando mio fratello per la felpa e attirandolo a me schivando appena in tempo un gruppetto di ragazzini ubriachi pronti a finirgli addosso e calpestarlo pur di passare. Se avessi avuto dieci anni in meno avrei acceso una rissa per molto meno.
Sbuffo.

«Hai ragione. È una merda questo Diablo. Perché Virginia lavora in un posto così?»

«Dovresti chiedere a Enea, è lui che l'ha fatta venire qui» dichiaro avvicinandomi all'ultimo tavolo, il diciotto.
È occupato da una coppietta che sta al cellulare piuttosto che divertirsi tra di loro.

Mi avvicino al ragazzo, che avrà più o meno l'età di mio fratello.
Di certo non ho intenzione di menarlo per un tavolo, ma non voglio neanche restare in piedi.

«Ehi, offri da bere alla tua ragazza.»
Entrambi alzano gli occhi dai cellulari e per un attimo mi guardano interdetti. Faccio cenno con la testa verso il bancone allora capiscono l'antifona.
«Magari portala a cena la prossima volta anziché in un posto di merda come questo.»

Il ragazzo si alza e un po' guardingo fa su e giù con il capo.

«Okay, grazie, signor Ferrante, seguirò il suo consiglio» mi dice un po' titubante e ho la sensazione che neanche con suo padre sia così rispettoso, poi fa cenno alla ragazza di fare lo stesso.

«Grazie» dice lei gettandomi una lunga occhiata. Reprimo a stento la voglia di sbuffare.

«Andiamo, dai.»
La spinge verso la pista e lei prima di girarsi agita la mano in segno di saluto.

Gabriele ridacchia mentre ci sediamo al loro posto.
«Da come ti ha guardato lei, credo che volesse scoparsi te piuttosto che il suo tipo. Il fascino del cattivo ragazzo dalle buone maniere.»

Faccio un gesto di noncuranza.
«Non me ne sono accorto.»

«Sì, certo. Sai, vorrei che un giorno le persone mi guardassero come guardano te. Allora sì, che mi sentirei il padrone del mondo.»

«No. Ti sentiresti solo a disagio.»

«Hai ragione, è il mio marchio di fabbrica, come il tuo è essere perennemente annoiato.»

Tiro fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca e ne accendo una.
«Se ti infastisce la confusione possiamo andarcene.»

Scuote il capo prendendo a giocherellare nervosamente con le maniche della felpa.

«Sto bene, se sono con te non è un problema. E poi voglio aspettare Enea.»

Aspiro un lungo tiro dalla sigaretta. A proposito di lui...
Dunque, il tavolo diciotto è il più lontano dalla folla, ma è anche la postazione più strategica per osservare il bancone, senza che quelle teste di cazzo che ballano siano d'intralcio.
Da qui riesco a vedere chiaramente Enea che parla con Alina. Sono presi da un fitto discorso che a un certo punto culmina nelle loro mani che si intrecciano e i loro visi che si fanno più vicini, sembrano i protagonisti di un film smielato, una scena che cozza terribilmente con l'ambiente che ci circonda, non mi stupirei se si concludesse con un bacio appassionato.
Soffio dal naso.
Ma che cazzo me ne frega dai.
Non sta già monopolizzando abbastanza i miei pensieri più sporchi? Vorrei che quanto meno quelli adibiti alla ragione restassero fuori dalla sua portata.

𝕀'𝕞 𝕟𝕠𝕥 𝕐𝕠𝕦𝕣𝕤Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora