▫️27. Hai firmato la tua condanna

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Il campanello che suona fa abbaiare Macchia e sobbalzare me.
Mi sono addormentata con il portatile sulle gambe me ne rendo conto solo quando finisce a terra spiaccicato al suolo.

«Fanculo» impreco stropicciandomi gli occhi e lasciando andare uno sbadiglio poco signorile.

Rabbrividisco non appena i piedi toccano il parquet. Ieri ero troppo impegnata persino per accendere il camino e adesso alle prime luci dell'alba la casa è immersa nel gelo più totale.

Il campanello suona ancora e mi stranisco perché nessuno si prende mai la briga di suonarlo.
Qui la gente entra come fosse casa sua.
Prendo una felpa con la cerniera sopra la mia “sedia-armadio” e la indosso sopra al pigiama rosa con gli orsetti.

Scendo giù e mi avvicino alla finestra scostando un poco la tenda.
Il cuore mi arriva in gola non appena i miei occhi inquadrano la figura alta e vestita di nero che aspetta davanti alla porta.
Certo che se l'è presa comoda, penso stizzita.

Prima di aprire cerco in qualche modo di sistemare i capelli arruffati disticandoli con le dita, per l'abbigliamento imbarazzante posso fare ben poco ora come ora.
Alzo le spalle. Pazienza.
Meglio ancora se risulto poco eccitante, non ho intenzione di fare niente di sconveniente con “mister mantengo talmente bene i mie segreti che non c'è niente su di me su quel fottuto database “.

Non appena apro, i suoi occhi guizzano su di me percorrendo brevemente il mio corpo che si risveglia all'istante dall'intorpidimento.

«Questa è la seconda volta che mi scomodo per venirti a cercare. Non ce ne sarà una terza.»

A bè, parte già col piede di guerra il “bel tenebroso” per citare la pagina di gossip.

«Il fatto che tu abbia suonato è già qualcosa. Comunque non ti ho chiesto di scomodarti per me. Quindi stai calmo.»
Anch'io lo squadro dalla testa ai piedi alzando un sopracciglio con aria critica.
In realtà da criticare nel suo aspetto non c'è proprio un bel niente.
È scuro, è bello e non ha un capello fuori posto.
Anche la mia borsetta che tiene pensolante dal manico sta bene col suo outfit.

«Ti ho portato le tue cose.»

Me la porge sollevandola dal manico con l'indice e il medio e io gliela strappo letteralmente dalle dita forse con fin troppa irruenza.

«Molto gentile, grazie.»

La lancio sul divano di mala grazia.

«Non mi fai entrare?» mi chiede alzando un sopracciglio.

«L'ultima volta sei entrato senza farti alcun problema. Strano che adesso mi chieda il permesso.»

«Devi sempre polemizzare su ogni cosa?»
Noto una punta di fastidio dietro il tono piatto con cui mi pone la domanda.

«Sì. È una dote che non può andare sprecata.»
Comunque mi allontano dalla porta giusto per farlo passare.
Il suo odore speziato mi investe una volta entrato dentro. Trattango per un istante il respiro deglutendo a vuoto.
Non ho di certo dimenticato il nostro scambio di interazioni di ieri mattina.

«Vuoi un caffè?»
Che non si dica che non sia una perfetta padrona di casa.

«Niente caffè. Vorrei delle spiegazioni, invece.»

«Bè, io un caffè lo voglio se permetti, mi sono appena alzata» borbotto dirigendomi verso la cucina.

Sento i suoi passi lenti e misurati dietro di me, un brivido intenso serpeggia lungo la mia schiena.
Aspetta con pazienza che mi prepari il caffè osservandomi attentamente col culo poggiato sul piano da cucina e le caviglie incorciate a sostenere il peso di cotanta maestosità.

𝕀'𝕞 𝕟𝕠𝕥 𝕐𝕠𝕦𝕣𝕤Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora