▫️26. È un segno del destino

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Prendo Macchia e me ne ritorno a casa

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Prendo Macchia e me ne ritorno a casa. Ho lasciato tutto dentro. Cellulare, portafoglio, tutto.
Cazzo.
Il fatto è che non riesco a tornare indietro.
Tanto i fottuti documenti sono falsi e il portafoglio è vuoto.
Per fortuna i miei risparmi sono ben nascosti sotto al materasso.

«Al diavolo» mormoro aprendo la porta di casa.
Sono stupida se ho sperato che qualcuno mi seguisse durante il mio percorso a ritroso?
Sì, lo sono.
Tiro su col naso.
Sono stupida soprattutto perché sto piangendo un fiume.
Continuo a ripetermi che cosa ti importa?
Niente.
Eppure continuo a versare lacrime.
Per cosa poi?
Per uno che neanche conosco, per il fratello del mio nemico.
È per colpa di questa famiglia disgustosa se sono in questo posto da quattro mesi.

Ma è effettivamente una condanna stare qui?
La domanda mi colpisce come uno schiaffo in pieno viso.

È così tanto tempo che mi impongo di non pensarci, ma oggi non riesco a farlo. È arrivato il momento di essere onesta con me stessa: io non mi nascondo solo dai Ferrante.
Ma dalla mia vita.
Dal mio dolore.

Quella donna, Zia Maria, ha involontariamente portato a galla qualcosa che da più di un anno mi stavo sforzando di nascondere come polvere sotto al tappeto.

Sono andata via da casa mia un'anno e mezzo fa, trasferendomi in città per studiare, sono sicura che sia questo ciò che dice mia sorella alla gente.
La realtà dei fatti è ben diversa: sono scappata.
Via da quella casa in cui ogni cosa mi ricordava l'uomo più importante della mia vita: papà.
La mamma non è più stata la stessa dopo la sua morte.
Ed io non potevo restare in quelle quattro mura piene di ricordi.
Ho lasciato mia sorella ad occuparsi di tutto, mentre io cercavo di mettere fine al mio dolore.

La mia punizione è stata quella di incappare in Paolo.
Me lo sono meritata quello che è successo dopo.
Le lacrime si trasformano in singhiozzi, appoggio le spalle alla porta e stavolta neanche Macchia osa disturbare il mio dolore.

La verità è che tutto è meglio piuttosto che tornare a casa e vedere quei volti distrutti.
L'ombra di loro stessi.
Mi porto una mano alla bocca.
Non ho mai pianto davanti alla mia famiglia.
Il giorno del funerale non ho versato neanche una lacrima.
Ho aspettato che gli altri sfogassero le loro sulla mia spalla.
Mi sono presa cura del loro dolore e quando col tempo ha lasciato spazio alla rassegnazione è entrato in gioco il mio.
Colpendomi come un pugno nello stomaco, così forte da farmi mancare il respiro dal petto.
Così l'ho fatto.
Ho lasciato una lettera sul tavolo in cucina.
E a quel punto di me non c'era più traccia.

Quando ho incontrato Gabriele, ho sentito un'affinità con lui.
Il fatto che nessuno dei due volesse ritornare a casa, il posto in cui hai subito più male.
Il modo è diverso.
Il dolore lo è.
Ma la sofferenza e la tendenza a farsi del male ci accomuna.

E Cesare? Cos'è che mi accumana a lui?
La rabbia?
La solitudine?
I sensi di colpa?
Cosa?
Che cos'è che mi fa quasi delirare per questo dannato uomo?

𝕀'𝕞 𝕟𝕠𝕥 𝕐𝕠𝕦𝕣𝕤Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora