42 (Romolo's POV)

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L'incontro con Emilia mi aveva lasciato una strana sensazione: nei suoi occhi avevo quasi visto del rimpianto. Magari, dietro ai suoi modi manipolatori, voleva veramente farsi perdonare, ma era impedita dal vincolo famigliare. Io conoscevo bene cosa significava aver paura di deludere un proprio caro.

Mio padre era un uomo ambizioso, che osò aspirare al potere su Roma, la splendente città Eterna, nonostante lui non fosse neanche ritenuto romano. Ma sua moglie lo era ed io di conseguenza, perciò mi fece diventare Imperatore malgrado la mia giovane età. In molti mi ritengono il suo Imperatore fantoccio, ma io ero il suo piccolo orgoglio, un motivo di vanto.

Gli ultimi imperatori avevano avuto un regno effimero, cosa poteva impedire che accadesse lo stesso a suo figlio?
Ma accecato dalla fame di potere non aveva badato ai pericoli che si sarebbe portato dietro e che lo avrebbero distrutto, non aveva notato che quel suo stesso piccolo prodigio stava silenziosamente soffrendo, lanciando mute urla con lo sguardo.

Non lo sto incolpando, ma aveva obbligato un ragazzino, il suo bambino, a sopportare un peso enorme, a crescere prima del dovuto. Il giorno della mia incoronazione fu la nascita di un Imperatore, ma la decaduta di un fanciullo spensierato. Diventai maturo senza mai essere stato infantile.
Mi dicevo che se lui era felice, allora anch'io avrei dovuto esserlo e avrei dovuto renderlo orgoglioso.

Finti sorrisi nascondevano una pressione che si faceva sempre più intollerabile, magari Emilia aveva un modo diverso da me per tener testa a tutte le aspettative. Emilia... Un tempo la chiamavo Emi, un tempo ci scambiavamo dolci parole immaginando il nostro futuro liberi, un tempo sentivo il viso arrossarsi quando lei mi arruffava i capelli, regalandomi un sorriso che credevo genuino... Un tempo, ora non più.

Ora mi sentivo sprofondare in una nera voragine ogni volta che la vedevo, ogni volta che suo fratello la chiamava affettuosamente Leni, la sua seducente distruttrice, ogni volta che mi sorrideva con gli occhi immobili quasi senza emozioni. La sua presenza mi ricordava costantemente della mia perdita: mi ero fidato ciecamente di lei.

Mi spezzava il cuore sapere che la gentile ragazza che mi aveva sostenuto, poggiando una mano confortante sulla mia spalla, era la stessa che mi aveva guardato senza battere ciglio mentre assistivo alla morte di un mio amico sincero.
Ragnar avrebbe saputo cosa fare, mi avrebbe dato il libro giusto per indicarmi la via migliore, mi avrebbe portato di nascosto il mio cibo preferito per consolarmi, mi avrebbe guardato dritto negli occhi dicendo "Abbi coraggio, ragazzo mio". Ma ora non c'era più.

"Andrà tutto bene Romolo! - mi rincuorò Sofia decisa - Sto già pensando a un altro piano..." "Un piano di riserva nel caso il primo andasse male?" Domandai ammirato. "No, uno nel caso il terzo andasse male..." Rispose lei, abbozzando un sorriso astuto. Spalancai gli occhi meravigliato. Poco dopo arrivarono dei barbari a prelevarci dalla nostra cella. Ci portarono in una piccola baia e ci fecero salire su una barca.
Una volta preso il largo, sentii le palpebre farsi pesanti e mi addormentai quasi subito.

Sognai la notte in cui morirono i miei genitori e la mia casa fu rasa al suolo. Un grigio fumo oscurava la vista e toglieva il respiro e frammenti di un tempo eleganti colonne giacevano al suolo, accanto a innumerevoli corpi senza vita. Il fuoco, che avevo sempre apprezzato per il suo confortante calore, ardeva senza contegno, creando una scoppiettante, ma soffusa atmosfera rossastra.

"Quindi sei tu... È per te che molti hanno trovato la morte" tuonò roca la voce di Odoacre. Il volto illuminato dal fuoco appariva ancora più terrificante. Avvicinai le mani al petto, come preparandomi a combattere. "Cosa pensi di fare? Batterti con me!?" Mi rise dietro lui in tono canzonatorio. "Arrenditi, o darò l'ordine di ucciderli" fece nuovamente.

Subito apparvero Sofia, Valentina, Nico e Will, quei giovani che avevano rischiato la vita per salvarmi. "No, non faresti loro del male, sono disarmati!" "Continui a resistere? Non hai ancora capito che - trapassò Nico con la spada - non - fece lo stesso con Will - puoi - e anche Valentina - vincermi!" Per ultima aveva lasciato Sofia, la spada sibilò maligna mentre sferrava il colpo letale. "È colpa tua!"

Aprii gli occhi di colpo. Ero ancora sulla barca, avvinghiato al braccio di Sofia, stringendolo come un'ancora di salvezza. Avevo pianto nel sonno e Sofia mi aveva visto! Magari le avevo dato fastidio, stringendole il braccio e bagnandolo con le mie lacrime! Arrossii violentemente, nascondendo la faccia tra le mani. "S-scusa... Non volevo, non intendevo appoggiarmi a te, darti fastidio..." Mormorai imbarazzato.

"Qualsiasi cosa tu abbia sognato, sappi che non accadrà mai!" Mi spronò lei, facendomi notare che sulla costa ormai vicina si intravedevano delle figure: erano i nostri amici venuti a salvarci! Sperai intensamente che i barbari non li notassero.
Sofia mi prese la mano, intrecciando le sue dita con le mie. Il mio viso avvampò ancora di più, ma, vinto il primo imbarazzo, inclinai la testa verso di lei, sapeva darmi coraggio senza neanche parlare.

All'improvviso, con un veloce movimento, Sofia si buttò nel mare, trascinandomi dietro.
L'acqua marina e fredda, penetrò nelle mie ossa e mi appesantì i vestiti. "Sofia... - la chiamai, interrompendomi perché avevo ingoiato un po' di acqua salata - Sofia! Io non so nuotare!" Le catene mi impedivano i movimenti e mi facevano affondare per il peso. Annaspavo, agitando le braccia per tentare di rimanere a galla. "Ci penso io!" Esclamò lei, avvicinandosi a me per permettermi di aggrapparmi.

I barbari gridavano ordini nella loro dura lingua, lanciando qualsiasi oggetto nella nostra direzione. Le onde si fecero più tumultuose, facendo traballare vistosamente l'imbarcazione e perciò facendo sbagliare loro la mira. Ad un tratto sentii un dolore lancinante alla spalla: ero stato colpito. L'acqua salina si mescolava con il mio sangue, facendo bruciare tremendamente la ferita. Sentivo ardere del fuoco indomabile al posto del braccio.

Sofia faceva sempre più fatica, dovendo sopportare il mio e il suo stesso peso. "Aiutaci Poseidone! - mormorò tra un'onda e l'altra - Dimostra che Percy ha ereditato l'altruismo non solo dalla madre!" Se aveva fatto quell'invocazione significava che la situazione era più tragica del previsto! Io ero un peso, una zavorra che faceva solamente affondare... Dovevo lasciarla andare! Abbandonai la presa e fui inghiottito dai flutti.

Mi sentivo intorpidito, ma allo stesso tempo tremendamente consapevole. Tutto il mio corpo bruciava: i polmoni, la gola, la ferita, gli occhi. Ero stanco di tutto quel dolore, quanto avrei dovuto sopportare ancora? Quanto sarei riuscito? Era così che si era sentito Icaro, una volta precipitato? Si era sentito ardere di dolore nella fredda acqua del mare? Aveva rimpianto di essersi avvicinato troppo spavaldamente al Sole o aveva goduto di ogni istante della caduta?

Una dolce ma decisa corrente mi trascinò via, via dal mio destino, via dai miei pensieri, verso la spiaggia, al sicuro. Mi sentivo un naufrago che toccava finalmente la terraferma, noncurante della sabbia che si attaccava ai vestiti fradici. La spalla faceva male, ma se sentivo il dolore significava che ero vivo.

Sdraiato sul bagnasciuga, mi voltai senza fiato verso Sofia: era viva! Il fatto che fosse viva, allontanava dalla mia mente il dolore. Mi bastava sapere quello.
Chiusi gli occhi, tramortito e infreddolito. Potevo riposarmi ora, era tutto finito, presto sarebbero arrivati Will, Valentina e Nico e ci avrebbero portato al sicuro, lontano dalla prigionia dei barbari. Quanto mi stavo sbagliando...

L'Imperatore delle CeneriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora