25. Confessione e redenzione

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-"Signora Laffingher, è arrivato il momento di confessare!" Disse uno dei poliziotti in sala interrogatori.

Mi stavo impegnando a riflettere su quella che è stata la mia vita finora, mio figlio Marcus, mio marito Adam, sapevo la verità. Come potevo celarmi dietro una bugia così grande?

-"Signora Laffingher!" Esclamò nuovamente il poliziotto, sferrando violentemente un pugno contro il tavolo.

Sobbalzai dallo spavento, la pressione era tanta e io non sapevo e non volevo più nascondere nulla, dovevo liberarmi da quel peso.

Il cuore mi batteva furiosamente nel petto, mentre cercavo di trovare le parole giuste. Avevo trascorso due giorni interi in cella, ripensando a ogni singolo dettaglio della mia vita, riflettendo su ogni scelta fatta e su come avevo condotto la mia esistenza fino a quel momento.

-"Mio figlio Marcus, mio marito Adam..." Sussurrai con voce spezzata dall'emozione. -"Sapevo la verità, ma ho cercato di nasconderla, di proteggerli. Ma adesso... adesso non posso più farlo."

Il poliziotto mi osservò attentamente, comprendendo il peso che quella confessione stava avendo su di me.

-"Signora Laffingher, è importante che lei dica tutto ciò che sa. Solo così possiamo comprendere appieno la situazione e agire di conseguenza."

Un sospiro di sollievo mi sfuggì, mentre finalmente mi lasciai andare al peso che avevo portato con me per troppo tempo.

Iniziai a raccontare la verità che mi aveva tormentato per così tanto tempo, sentendomi finalmente pronta ad affrontare il dolore.

-"È accaduto in piena notte. Xila, mia figlia, era in preda a un attacco psicotico, incapace di controllare i suoi impulsi o di percepire la realtà circostante. Marcus, il mio prezioso Marcus..." Le lacrime rigarono il mio volto mentre ripensavo a quella terribile notte.

-"Mio marito Adam era con me in quel momento.." Continuai, molto confusa su quello che stavo raccontando. -"Eravamo appena tornati da una festa di compleanno, del suo collega, Jhon."

Presi brevemente fiato, percependo gli occhi scrutatori del poliziotto.

-"Abbiamo provato a staccare Xila da Marcus, ma in quel momento avevamo capito che non era del tutto cosciente, ecco..." Continuai a fatica. -"Sembrava essere sonnambula. Poi, all'improvviso, mentre sia io che mio marito cercavamo di capire cosa fare, Xila si svegliò in preda al panico, non sembrava ricordare l'accaduto, nonostante si sia ritrovata il corpo di suo fratello addosso, privo di vita. Io non posso più ignorare la verità." Conclusi balbettando dal panico che cresceva sempre di più dentro di me.

-"Per quello ha mandato sua figlia a Torbsville?" Domandò l'agente.

-"Cosa dovevo fare? Come potevo denunciare mia figlia?" Dissi scoppiando a piangere.

-"Non era una critica Signora Laffingher, sto solo cercando di capire meglio tutta questa faccenda." Disse con voce stranamente premurosa. -"Può dirmi invece, cosa è successo in clinica? Perché il suo badge è stato utilizzato entrambe le sere degli omicidi?" Domandò prendendo appunti sul suo block-notes.

Mi asciugai le lacrime dal volto e con molto coraggio, inizia a liberarmi da tutto.

-"Entrambe le sere, successe la stessa identica cosa." Iniziai a raccontare.

-"Sarebbe a dire?" Mi interruppe lui.

-" Avevo ricevuto una chiamata da mia figlia, Xila, la quale, appunto, è ricoverata a Torbsville, nel reparto 3, la prima volta, mi chiamò alle quattro del mattino, non sembrava per niente lucida, ero in panico, continuava a dirmi che aveva bisogno di me. Presi le mie cose tra cui il badge, e uscì in piena notte di casa. Quando arrivai in clinica, entrai, senza farmi vedere da nessuno. Quando arrivai in camera di mia figlia, la 43, rimasi congelata. era in piedi davanti al letto, il telefono in mano e dei guanti per terra tutti insanguinati, non mi ci volle molto per capire e percepire che fosse nuovamente, in uno stato mentale alterato. Non sapevo cosa fare, non volevo svegliarla del tutto, non sapevo come avrebbe reagito. Vidi delle macchioline di sangue sul pavimento che venivano dal corridoio, decisi quindi di seguirle, sempre, facendo attenzione a non incontrare nessun paziente o infermiere. Arrivai in saletta fumatori, dove lo vidi. Vidi un ragazzo, sdraiato a terra immerso nel suo stesso sangue. Capì subito che la responsabile di quella macabra scena, fu mia figlia. Dopo aver preso dei tovaglioli tornai rapidamente in camera, pulì le macchie di sangue per tutto il corridoio e in stanza di Xila. Presi un sacchettino dal bagno e ci misi i guanti imbottiti di sangue. Non potevo buttarlo via, l'avreste sicuramente trovato, quindi decisi di nasconderlo nel plafone sul soffitto, nessuno avrebbe mai pensato di guardare lì."

Presi fiato, il panico prese il sopravvento nel mio corpo, afferrai il bicchiere d'acqua davanti a me e dopo qualche sorso, continuai a confessare.

-"La stessa cosa è successa con la morte di quella ragazza, stessa identica cosa, trovai mia figlia nello stesso stato. Non sapevo cosa fare, a chi chiedere aiuto, ho fatto una stupidata lo so." Conclusi in un mare di lacrime.

-"Signora Laffingher, lo sa che quello che sta dicendo è molto grave, vero? Finirà anche lei in prigione per aver aiutato sua figlia e occultato le prove." Mi avvertì il poliziotto, appoggiando la penna al tavolo con fare severo.

-"Si, lo so." Dissi, sentendo il peso della colpa stringermi il cuore. -"Non posso più nascondere la verità, non ce la faccio."

Mentre mi preparai a lasciare la stanza d'interrogatorio, il poliziotto prese dalla sua tasca dei pantaloni il suo cellulare. Guardò lo schermo con un'espressione preoccupata.

-"Mi scusi un attimo." Disse, alzandosi in piedi. -"Devo rispondere a questa chiamata."

Il mio cuore iniziò a battere più forte, temendo il peggio.

-"Cosa succede?" Chiesi, ansiosa.

Il poliziotto alzò lo sguardo dal telefono, il suo volto diventò più pallido.

-"È dalla clinica." Disse con voce tesa. -"Riguarda sua figlia."

Le mie gambe tremarono, mentre mi afferrai al tavolo per evitare di cadere.

-"Cosa sta succedendo?" Chiesi, sentendo il panico salire dentro di me.

Il poliziotto mi guardò con preoccupazione.

-"Devo andare immediatamente in clinica. È successo qualcosa di grave."

Il mondo intorno a me sembrò svanire, mentre mi preparai a fronteggiare un'altra tragedia.

-"Posso venire con lei?" Chiesi, desiderando essere al fianco di mia figlia.

Il poliziotto mi scrutò rapidamente.

-"Mi dispiace signora Laffingher lei è sotto accusa, la farò scortare in cella da un collega." Disse, mentre uscii rapidamente dalla sala.

I passi veloci dei poliziotti echeggiavano nell'aria, lasciandomi lì, con la mente in tumulto, mentre venivo condotta verso la mia nuova prigione.

Room 43Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora