Il sonno si faceva largo dentro di me. Quelle tre ore di sonno erano impresse sul mio corpo. Mi facevano chiudere piano gli occhi; i piedi mi imploravano di non alzarmi, così come tutto il mio corpo che era ancora troppo stanco dalla serata passata. Nemmeno le piccole cose che di solito facevo per svegliarmi sembravano aiutarmi. Sembrava tutto un incubo. Non riuscivo a riaddormentarmi. Avevo finito il caffè. In dispensa non c'era nulla di buono, solo del pane ormai secco. La mia testa dondolava addormentata per tutta la casa mentre camminavo. Dovevo svegliarmi in un modo o nell'altro, no? Mi sembrava tutto inutile. Sarei potuto cadere al suolo da un momento all'altro, addormentato sul freddo pavimento. Mi sembrava tutto così strano; avevo dormito molto meno, ma oggi era diverso.
Mi sentivo più stanco del solito, come se avessi portato il peso del mondo sulle spalle per tutta la notte. Ogni movimento richiedeva uno sforzo sovrumano, e persino respirare sembrava una fatica insormontabile.
Avevo le palpebre pesanti come piombo e ogni pensiero sembrava fuggire via prima ancora di poterlo afferrare.Mi chiedevo se avessi fatto qualcosa di diverso per sentirmi così esausto, ma la verità è che non riuscivo a ricordare nulla di insolito.
Era come se il mio corpo avesse deciso di rallentare improvvisamente, come se volesse fermarsi e prendere fiato.Avevo mandato un messaggio a Emma. Così, per disperazione.
"Sembra che tu abbia bisogno di un po' di riposo. Magari potresti fare una pausa e rilassarti un po'."
Mi ha risposto.
Ho riletto quel messaggio diverse volte.
Non avevo bisogno di una pausa, ma pausa da cosa poi? Il tour era finito. Ero appena tornato dalla Sardegna e tutto sembrava andare bene. Alzai le spalle con fatica, rispondendo a domande che non mi ero mai posto.
«Sarà un calo di zuccheri» mi ero detto. L'unico problema che sentivo incombere su di me era quel dannato biglietto sul tavolo. Mi chiamava, mi chiedeva di bruciarlo e di non consegnarlo mai al mittente.
In quel biglietto c'era una delle più grandi cavolate che avessi mai fatto in tutta la mia vita.
Solo al pensiero del volto di Marco mentre leggeva, il mio stomaco si attorcigliava d'ansia, il mio corpo rabbrividiva e trovavo spontaneo riaddrizzare la schiena.
Dovevo trovare il giorno adatto per darglielo. Ovviamente, dovevo trovare anche le parole adatte. Cosa gli avrei dovuto dire? "Questo è per te"? "Dobbiamo parlare, ma non sono in grado di farlo e ti ho scritto una sorta di lettera"? "Tieni"? "No, non è un regalo, ma leggi, ti prego, non arrabbiarti"? Non avevo la più pallida idea, né di come dargli quel dannato foglio, né quando e dove.Stavo ancora girando per casa, ancora cercando di svegliarmi. Erano le sei. Che razza di idiota si alza alle sei e si lamenta di aver sonno? Cazzo, sei andato a dormire alle tre! Hai avuto le tue tre ore di sonno, ora non lamentarti! Hai deciso tu di svegliarti alle sei!
Sentivo come se qualcosa, solo quella mattina in esclusiva per me, stesse andando a male dentro di me. Non sapevo bene cosa. In altre circostanze avrei detto la voglia di vivere, ma quella mattina non era quella (stranamente).La mia vita stava andando a rotoli, sembrava che Dio mi stesse ostacolando nonostante tutto.
Camminavo e sbuffavo, perché era l'unica cosa che riuscivo a fare.
I pensieri riempivano le pareti di quella grande casa, creando dipinti immaginari sui muri bianchi, mentre immaginavo quei dipinti.
Rispondevo alle loro domande, o almeno ci provavo.
Quel giorno era l'esatto esempio di un momento no.
Avrei potuto riempire una vasca e buttarci dentro un asciugacapelli acceso, un'idea elettrizzante.
Il problema era uno: non avevo una vasca. Guardavo la proiezione di me stesso rotearmi intorno senza neanche sapere il mio nome.
Continuavo a ripetermi:
"Alessandro.
Alessandro.
Alessandro."
Sbuffavo e camminavo, il pessimismo germogliava dentro di me.
No, Marco non mi avrebbe perdonato.
Non lo so.
Non lo so.
Non lo so.
Continuavo a ripetere.
Alessandro.
Non lo so.
Era quello il mio problema, pensavo troppo. Stavo pagando il prezzo di una vita passata.
Lo sapevo.
Lo sentivo.
Avrei potuto sbattere la testa al muro.
Sbuffavo. Alessandro.
Camminavo.
Non lo so.
Stava andando tutto così dannatamente bene, era quello il problema.
Autosabotaggio.
Ero io.
Alessandro.
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NEBULOSA
ChickLitLa nebulosa...simbolo di un amore profondo e immenso, che avvolge due persone in un legame indissolubile e misterioso. Come la nebulosa che si estende nello spazio infinito, questo tipo di amore può essere visto come qualcosa di eterno, in cui due a...