capitolo 7 - testa

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Il mio corpo strisciava sul freddo pavimento del bagno. Non ricordo come sono arrivato lì; ricordo solo una cena in un pub non lontano da casa, ricordo un insulto, qualcosa di orribile, qualcosa che ha fatto scattare in me una forza mai vista prima. Ricordo i pugni caldi toccarmi il viso, il naso che sgocciola e Emma che mi trascina fuori da quel pub.

L'acqua scorre fredda nel bidet. Non è il massimo, ma è l'unico posto dove posso arrivare. Non sento più le gambe, sento come un fuoco invadermi il corpo. Sto bruciando vivo, cazzo.

Porto una mano sotto l'acqua gelida, la tengo lì per due o tre minuti, poi la passo sul mio volto. Crollo di nuovo a terra. Rimango steso sul freddo pavimento che dà un po' di sollievo al mio bruciore incessante. Poi di nuovo il buio.

Ripercorro i vari ricordi della mia infanzia. Mia mamma che porta in braccio una bambina nel suo lettino. Mia cugina. Io che la guardo dormire e sorrido. Sembra felice.

Sento il frastuono dei bambini che urlano felici fuori scuola. Io corro. Corro più veloce che posso, i miei piedi volano sull'asfalto. Abbraccio mamma, le chiedo se ha cucinato la pasta al sugo che mi piace tanto. Lei sorride e annuisce.

Vedo il duomo, i piccioni che volano e si uniscono in un unico cerchio. Anziani signori passeggiano sulla destra, parlando dei tempi passati, del grande boom economico. Parlano della guerra, di come tutto fosse diverso allora. Sulla sinistra ci sono dei ragazzini, ballano e cantano, inconsapevoli dei tempi passati e di quelli a venire. Io sono al centro, tra il passato e il presente. Sembro il dio di quel piccolo luogo. È inutile dire che non lo sono.

Sento le onde del mare, la sabbia fra i piedi, Marco ride, mi spiega che non c'è niente di più bello del tramonto visto con la persona che si ama. Mi trovo pienamente d'accordo.

I miei piedi toccano l'acqua salata, le onde si infrangono su rocce non troppo lontane da noi. La sabbia si attacca sui talloni e io rimpiango i tempi in cui non si attaccava, quando i miei piedi erano ancora liberi da quel fastidio. La sabbia è calda, scotta. L'acqua è fin troppo fredda. Marco mi spinge in essa, io vado nel blu. Mi sembra di sprofondare nel cielo, immerso tra le nuvole.

Poi ancora una volta il buio.

I miei occhi mettono a fuoco una figura. Marco mi sorride, i ricci gli scendono svogliatamente sul viso. «Sei sveglio?» Mi metto seduto sul comodo materasso del letto, tre cuscini rinforzano la mia testa. Sono sudato, il sudore freddo scende su tutto il mio corpo, si ferma sulle coperte bianche e pulite messe solo il giorno prima, il sudore si appiccica ai miei capelli. Ho bisogno di alzarmi ma qualcosa di più forte di me mi impedisce di farlo. «Hai battuto la testa, non ti consiglio di alzarti». Marco mi stringe la mano, io la guardo e le parole abbandonano flebili le mie labbra. «Cos'è successo?» Marco si sistema meglio sul letto, è seduto accanto a me. «Quando sono venuto stamattina ti ho trovato steso sulle mattonelle del bagno, ho provato a svegliarti ma non ci riuscivo. Ho chiamato Emma e lei mi ha spiegato che hai fatto a botte con un tipo in un pub ieri sera e che, solo dopo esserne uscito vincitore, te ne sei andato. Emma ti ha accompagnato a casa. Ho chiamato un medico, dice che hai battuto la testa, probabilmente sulle mattonelle del bagno, dice che devi stare a riposo per un po' di giorni». Chiusi gli occhi e sorrisi. «Beh almeno ho vinto». Marco rise. «Pensi realmente a questo ora?» «Ovvio».

Marco si stese accanto a me e io sbuffai rendendomi conto di quanto tempo avrei dovuto passare in quel cazzo di letto. Odiavo stare fermo, avrei desiderato alzarmi, andare a correre o semplicemente fare una passeggiata per Milano, ma invece no! Io dovevo quasi rompermi la testa sul pavimento del mio bagno! Pensai a tutto l'odio che provavo verso Dio, anzi in quel momento ero anche indeciso se credere o no all'esistenza di un dio. Se esisteva comunque, sicuramente non era dalla mia parte. Era come se lui vedesse la piccola fiammella della mia felicità e ridendo ci soffiava sopra fin quando essa non si spegneva. Sbuffai ancora una volta. Marco si girò a guardarmi. «La smetti di sbuffare?» Lo guardai malissimo. «Ah, scusa se non voglio stare a letto tutto il cazzo di giorno». Lo vidi rimettersi di nuovo seduto, appoggiò le mani sul materasso e le lenzuola si impigliarono tra esse. «Guarda il lato positivo, puoi dormire quanto vuoi». Gli diedi ragione, così chiusi gli occhi e cercai di dormire.

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