Nathan
Resto immobile dopo questa strana conversazione con Sole, non mi conosce eppure si comporta come se fossi un libro già letto. Trovo assurdo che giunga a tali conclusioni solo per aver mostrato un minimo di supporto nei confronti di una sua cara amica, la sua reazione è dovuta ad una reale preoccupazioni nei confronti di Selene o perchè voleva che accarezzassi la sua di mano? Ormai innervosito da questa giornata che non sembra andare nel verso giusto mi dirigo in direzione dell'ufficio del rettore, nonché mio amatissimo e stimatissimo padre, nel farlo osservo le distese di verde che ritrovo in ogni angolo del campus e non faccio che pensare a quanto somigli a Stanford, solo con uno stile più classico rispetto all'arcaico del mio vecchio college. Essere qui non è di certo facile, ma è l'unica opzione per laurearmi non troppo lontano da casa. Arrivo nell'ala di campus riservata al personale e noto lo sguardo curioso di qualche passante, non vedo l'ora che la notizia del "secondo figlio del rettore" non sia più una novità, mi siedo su una sedia in pelle nera mentre attendo che la segretaria mi dica che posso entrare, mi guardo intorno e noto che l'ufficio riprende lo stile dell'intera università, con i muri bianchi e con poche decorazioni, la segretaria con un sorrisetto da scolaretta dopo essere uscita dall'ufficio di mio padre mi comunica che posso entrare.
«Signor rettore, mi dica.» ironizzo entrando.
«Ciao Nathan, non è una visita a scopo universitario.» mi spiega con il suo solito sguardo duro, fa cenno di sedermi mentre lui si accascia sulla sedia più rilassato facendo quasi sgualcire il completo. Odio ammetterlo, ma il suo sguardo è molto simile al mio, tranne per il colore marrone che ha erditato quell'imbecille di Lucas, anche fisicamente siamo molto simili, capelli castani e lisci, sguardo attento e sempre un po' duro, alto e in forma, con una pelle quasi pallida, come se il lavoro non gli permettesse mai di vedere la luce del sole. Poterei iniziare a pensare che è un vampiro.
«Okay paparino, allora perchè sono qui?» il mio sguardo scocciato incrocia il suo in cerca di risposte.
«Nathan, non sono in vena di scherzare.» dice incrociando le mani.
«Oh che novità!» esclamo accasciandomi anche io sulla sedia parecchio scomoda. «Che cosa vuoi allora?» gli domando già stanco di star perdendo tempo con lui.
«Ho potuto notare che hai firmato tutti i moduli d'iscrizione come Nathan Davis.»
«E?»domando impassibile.
«Non è il tuo nome, all'anagrafe sei registrato come Nathan Williams, non Davis. Tua madre scelse di registrati come Williams e gradirei che tu ti presentassi come tale.» mi spiega con una calma apparente, perché so che questa conversazione disturba entrambi.
«Io sono un Davis, non un Williams.» affermo sicuro.
«Tua madre-»comincia, ma lo fermo prima che possa continuare.
«Mia madre ha commesso un errore e io non intendo identificarmi con un cognome che non mi appartiene.»
Fa un sospiro lento, per poi passarsi una mano tra i capelli.
«Sai anche tu che lei ha sempre voluto che tu prendessi il mio cognome e dal momento che sei in quest'università grazie a tale gradirei che tu lo usassi.»
«Perché dovrei? Non ho intenzione di passare per imbecille grazie a tuo figlio.» gli domando incominciando a scaldarmi.
«Non parlare così di tuo fratello.» mi ammonisce, il fatto che provi ad essere così calmo mi innervosisce solo di più, perchè so benissimo che se non fossimo stati nell'ufficio del suo maledetto college non ci avrebbe pensato più di trenta secondi ad urlarmi contro, l'irascibilità è una caratteristica degli Williams, è da lui che l'ho ereditata.
«Non dire che è mio fratello.» alzo la voce sporgendomi verso di lui.
«Avete lo stesso sangue, è tuo fratello.» alza di poco la voce.
«Anche io e te abbiamo lo stesso sangue, ma non sei mio padre.» gli faccio notare arrabbiato, mentre lui si passa una mano sulla tempia cercando di rilassarsi.
«Nemmeno tu mi vuoi qui, questa situazione è disturbante per entrambi.» continuo.
«Non dire così Nathan.»
«Perché mi sbaglio? Qui nessuno dei tuoi sa che siamo parenti, non c'è una mia foto in questo cazzo di ufficio, perfino i tuoi dipendenti non sanno chi sono. Dovresti farli uscire un po' da queste quattro mura, sai è sulla bocca di tutto il campus questa notizia.» dico alzando la voce e alzandomi di scatto dalla sedia.
«Abbassa la voce.» mi ammonisce facendomi segno di mantenere un tono basso, cosa che contribuisce ad imbestialirmi ancora di più. «Che c'è? Non vuoi che la tua segretaria lo scopra? O hai un figlio anche con lei? Chissà forse in questo momento ha in grembo proprio il mio fratellino.» dico arrabbiato.
«Non volevo dire questo.» cerca di restare calmo, ma non lo ascolto e prendo il giubbotto dalla sedia per poi uscire dalla stanza sbattendo la porta.
Non mi volto a nessuno dei suoi innumerevoli richiami, attirando lo sguardo confuso della segretaria.
Prendo il telefono dalla tasca posteriore dei jeans per chiamare Ares, una volta fuori dall'edificio, ma noto una voce familiare chiamarmi.
«Nate, ti stavo aspettando fuori gli uffici.»mi spiega Ares una volta avermi raggiunto.
«Non ti avevo visto, stavo per chiamarti.» gli spiego passandomi una mano in faccia, dati gli ultimi due giorni, non so proprio come farò a sopravvivere un anno intero, prima di ritornare a Stanford.
«Avevo notato, vieni, raccontami che è successo.» mi dice per poi sedersi su uno dei numerosi muretti che contiene quest'università, prende un pacchetto di sigarette dalla tasca e ne approfitto per fumarmene una anche io dal mio pacchetto.
«Vuole che firmi come Williams, questa storia va avanti da quando ho imparato a scrivere, ormai è cosa vecchia.» gli spiego per poi far uscire del fumo dalla bocca. «E deduco che tu ancora non voglia...» continua Ares aspirando il fumo.
«Esatto.»
«Io ti direi di pensarci su, sai bene che tua mamma prese questa decisione per permetterti di avere una vita più facile.» dice Ares aspirando un altro tiro della sua sigaretta.
«Ares, sappiamo tutti che non è così, ma l'ha fatto solo perchè era ancora innamorata di lui, o forse lo è ancora. Seppur mi ha riconosciuto come suo figlio, non mi ha mai trattato come tratta Lucas. Se avere il suo cognome mi renderà la vita più semplice, sai che ti dico? Preferisco quella complicata.» gli spiego chiaramente e lui alza le mani in segno di resa.
«Adesso per favore cambiamo argomento?» gli chiedo gettando la sigaretta nel posacenere.
«Certo, pensavo di passare in centro a comprare alcune cose, mi fai compagnia?» mi domanda aspirando l'ultimo tiro della sua sigaretta per poi gettarla a terra.
«Pensavo di passare a dare un mano a Selene, sai per il falò di stasera.» gli rispondo schioccando le dita delle mani e noto la sua espressione leggermente stranita.
«Che c'è? Non ti sarai mica innamorato della brunetta?» mi chiede quasi ridendo.
«No che non mi sono innamorato della brunetta, semplicemente mi fa piacere essere d'aiuto.» gli spiego sottolineando la parola brunetta proprio come lui.
«Sarà! Solo che non vorrei tu giocassi con lei per dare fastidio a Lucas.»
«Tranquillo, non è nei miei piani.» lo rassicuro.
«Perfetto, allora io vado. Ci vediamo più tardi a casa?» mi domanda alzandosi dal muretto.
«Sì, magari quando torni cerchiamo qualche casa su internet. Voglio andarmene da lì al più presto.» gli spiego alzandomi anche io.
«Concordo, lo sai non mi piace vivere a scrocco, soprattutto se tu non ti senti a tuo agio.»
Saluto Ares per poi dirigermi all'interno del campus, è così grande da sembrare un labirinto, mi domando se qualcuno si sia mai perso tra i lunghi corridoi di questi edifici. Mi soffermo su un armadietto in vetro notando alcuni trofei, la mia attenzione ricade in particolare su quelli di basket: Campionato anno 95\96, in un quadretto poco più sopra vedo una foto dei membri della squadra, tra cui mio padre. Non sapevo giocasse a basket. Vedo anche alcune foto più recenti e noto che non vincono un campionato dal 2018, sapevo già che erano piuttosti scarsi, quand'ero a Stanford vincere contro di loro era una passeggiata ed erano anche quelle rare occasioni in cui incontravo Jordan e Lucas. Lui veniva a tutte le partite e il ragazzino, Lucas, quando mi vedeva perdeva il controllo. Non sa giocare bene sotto pressione, spero che quest'anno abbia imparato la lezione, perchè non ho intenzione di perdere. Giocare contro i miei ex compagni di squadra, non mi fa di certo piacere, ma non mi dispiace nemmeno, non eravamo una squadra molto compatta.
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Eclipse: The way of sun
RomanceQuando il sole e la luna si incontrano è inevitabile avvenga l'eclissi. La luna illumina le notti fredde e calde, è cantata dai poeti, incanta gli amanti. Il sole illumina il giorno e la sola sua presenza rende gli uomini felici. Così distinte eppur...