Capitolo 6

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“Va meglio ora?”
La voce di Jisung lo riportò alla realtà. Quando girò il viso lo stava guardando, sembrava che potesse vederlo davvero. La luce delle lampade esterne gli brillava nelle pupille appannate, il vento muoveva i suoi capelli sempre spettinati e la sua mano ancora stringeva quella di Minho. In realtà non sapeva come si sentisse, se più leggero per quel pianto o più pesante per quel sentimento che aveva provato. Mentre guardava i suoi occhi decise che avrebbe ignorato il problema, una cosa in cui era molto bravo, e gli strinse la mano.
“Sì. Mi dispiace.”
Jisung scosse la testa e fece per lasciargli la mano, ma Minho non glielo permise. La strinse forte, senza pensare al perché non volesse lasciarla andare.
“Ho litigato con Hyunjin. O meglio, lui ha tagliato i ponti con me.”
Il minore spalancò gli occhi sorpreso, poi gli chiese cosa fosse successo, mandando all'aria la loro regola di non fare domande, e Minho gli raccontò tutto. Partendo da quella sera e la discussione con i suoi amici, senza entrare nei dettagli, passando alla discussione in macchina, ai giorni successivi, all'uscita con Jeongin e infine al rifiuto di Jin di vederlo. Jisung lo ascoltò parlare attento per tutto il tempo, le loro mani rimasero unite e quando concluse Minho posò la guancia sulla sua spalla. L'intimità naturale che si era instaurata tra di loro era passata inosservata ad entrambi, semplicemente le cose succedevano, senza che nessuno dei due ci pensasse. Alla fine del suo racconto tra loro cadde il silenzio, ma non un silenzio pesante, piuttosto un silenzio confortevole.
“Non pensi che questo tuo hyung, Chris, abbia ragione? Magari Hyunjin ha solo bisogno di tempo. Magari lui e il suo ragazzo possono farlo ragionare.”
Minho sospirò.
“E se facesse come hai fatto tu? Se non mi riaprisse più la porta?”
Avvertì la mano di Jisung avere un fremito nella loro stretta.
“È diverso.”
“Non lo è, non hai idea di quanto difficile sia stato stare con me negli ultimi mesi. Tu li hai allontanati prima di diventare troppo e loro continuano a volerti bene, invece Hyunjin è arrivato al limite, forse non c'è una via di ritorno…”
“Non sono la persona giusta con cui avere questa conversazione. Ma se io fossi al tuo posto e tenessi così tanto a lui, farei quello che è meglio per lui. Se ti ha chiesto tempo, dagli tempo. E se alla lunga la porta non si apre comincia a bussare.”
“È quello che fanno Jeongin e Seungmin, eppure tu continui a non aprirgli.”
Cadde il silenzio tra loro dopo quelle parole. Il vento continuava a soffiare e Minho continuava a tenere la guancia appoggiata alla spalla di Jisung. Stava venendo freddo e il calore dell'altro era una grossa attrattiva.
“Forse ho bisogno di tempo anche io.” Ammise infine, lasciandolo spiazzato. Era la prima volta che sembrava considerare una possibilità nella rottura del rapporto con i suoi amici. Forse quello che gli aveva raccontato aveva mosso qualcosa nel suo cuore.
“Ti fa arrabbiare che abbia parlato con i tuoi amici?”
“Appena me lo hai detto pensavo di essere arrabbiato, ma non lo sono. Non so che cosa provo, credo di doverci pensare. È tutto diverso da quando sei arrivato tu.”
“Ti dispiace avermi conosciuto?”
Ci fu un momento di silenzio in cui Minho ebbe paura della risposta e si pentì di aver fatto quella domanda.
“Da quando sono cieco quasi tutto si è mescolato. I rumori, gli odori, lo spazio non ha più un senso, il tempo che scorre, è tutto immerso in un unico buio. Eppure tu sei definito. Non posso vederti, ma so di te così tante cose, sei così nitido. E non mi dispiace questo, non mi dispiace che ci sia un punto fermo nel caos.”
Non seppe come rispondere, rimase spiazzato. Quella dichiarazione così diretta era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato. Un buco pieno di vuoto che aveva dentro sembrò improvvisamente riempirsi, come se ora quello spazio vuoto avesse di nuovo un senso. C'era un abisso lasciato dalla perdita che lo aveva risucchiato per mesi, inghiottendo tutto ciò che provava e restituendogli solo un non dovresti essere qui, la tua esistenza non ha un senso, saresti dovuto essere un ricordo. Ma Jisung aveva appena dato un vero senso alla sua sopravvivenza e quel vuoto si era riempito di un nuovo scopo. Poteva farlo? Poteva colmare quel vuoto se era Jisung a beneficiarne? Era egoista e lo stava usando o era davvero utile per lui la sua presenza? Confuso, per un attimo si dimenticò di tutti gli altri problemi e si focalizzò sulla sensazione che aveva provato prima. L'improvviso desiderio di guardare le stelle tramite gli occhi di Jisung, perdersi dentro di essi. Ci era già passato, ma non poteva essere la stessa cosa no? Non doveva esserlo. Non se lo sarebbe concesso una seconda volta. E se fosse solo un desiderio di compensare un vuoto? Non voleva nemmeno pensarlo, eppure il cuore gli batteva all'impazzata a pensare di essere l'unica luce che lo guidava, perché in fondo era così anche per lui ed era la prima volta che si sentiva ricambiato. Un sentimento reciproco. No, forse stava pensando troppo, forse era solo quella notte strana e loro due da soli in quel silenzio. Erano solo le sensazioni di una notte che sarebbe rimasta chiusa in quel cortile insieme ad esse. Sì, doveva essere così.
“È così anche per me. Anche se non sono cieco.”
Voltarono la testa per guardarsi nello stesso momento e Minho si specchiò nei suoi occhi, per un attimo dimenticò che Jisung fosse cieco e si sentì come se si stessero guardando a vicenda, sorridevano, ma solo Minho poteva saperlo. Gli strinse la mano con forza, come a volergli trasmettere quello che i suoi occhi non potevano vedere, e Jisung ricambiò la stretta. Doveva essere solo un caso che quella notte le finestre della loro stanza buia fossero aperte e il vento ne lavasse via l'aria stagnante, riportando alla vita tutti quei sentimenti lasciati in letargo troppo a lungo. Ma era troppo presto per affrontarli, almeno per Minho, perciò richiuse tutto e tornò a sedersi con il più piccolo, cercando le stelle nei suoi occhi.
“Jeongin mi ha raccontato che suonavi la chitarra, non me lo avevi mai detto. Mi avevi solo accennato che componessi musica.”
Jisung non fece una piega al cambio di argomento, era difficile dire chi avesse più punti destrezza nel driblare le situazioni che non sapevano gestire. Continuando a tenere gli occhi fissi su di lui, sebbene non potesse vederlo, Jisung scosse la testa.
“Non era necessario lo facessi, visto che non suono più.” Lo disse con nostalgia e un pizzico di tristezza. “Il mio medico dice che dovrei ricominciare, che la chitarra è uno strumento tattile diretto e quindi riuscirei a suonarla ancora. Però mi manca tutto il resto, come scrivo la musica che compongo? Come trovo ispirazione se non vedo più nulla? Non ne vale la pena…”
“Puoi trovarla dentro di te.”
“Non credo sia rimasto molto dentro di me. Tu dovresti capirmi, non c'è nulla che non riesci più a fare?”
Minho non dovette nemmeno pensarci. C'era una cosa che non era più riuscito a fare dopo la morte di Seongjun perché senza di lui, che era stato quello che l'aveva avvicinato, non aveva più alcun senso.
“Ballare.”
Jisung apparve perplesso.
“Ballare? Tu ballavi?”
“Sì. Jun aveva sempre sognato fare l'idol, ma la sua famiglia si era sempre opposta, perciò aveva imparato da autodidatta e tentato qualche casting. Curava tantissimo la sua immagine e si tingeva spesso i capelli, aveva attaccato anche a noi quella mania. Purtroppo non sapeva cantare per nulla, era davvero stonato, ma ballava davvero bene. Siccome era sempre andata male e aveva cominciato ad essere troppo vecchio, aveva abbandonato quel sogno e trovato una nuova carriera lavorativa, ma la passione gli era rimasta e ce l'aveva attaccata. Sia io che Hyunjin amavamo ballare, abbiamo smesso tutti e due da quando Junie è morto.”
Era la prima volta che diceva apertamente a Jisung il motivo per cui parlava sempre di Seongjun al passato, ma lui cercò di non mostrare nessuna emozione e non fece domande. Minho poté vedere un'ombra di pena attraversare il suo viso, ma scomparve subito. Non l'avrebbe compatito come non voleva si facesse con lui. Si limito a stringergli la mano.
“Ti manca ballare?”
“A te manca la chitarra?”
“Sì, molto.”
“Io non lo so. È qualcosa che associo a loro due, ai nostri ricordi, amavo ballare, ma ora mi sembra che manchi qualcosa.”
“Forse dovresti solo trovare qualcosa di nuovo a cui associarlo.”
E a quelle parole Minho si tirò su di botto facendolo sobbalzare.
“Forse hai ragione. Forse potrebbe essere questa la risposta per riavvicinarmi a Jin, ritrovare quel qualcosa che ci legava.”
Jisung si tirò su a sua volta e gli lasciò la mano, posandole a terra per reggersi seduto.
“Credi che riusciresti a farlo senza pensare al tuo amico?”
“Non lo so…”
Rimasero in silenzio un momento, seduti uno accanto all'altro, mentre Minho rabbrividiva nell'umidità della serata che si stava posando su di loro.
“Ti tingevi spesso i capelli?” Gli chiese il più piccolo dal nulla.
“Sì, ho provato diversi colori. Anche ora li ho tinti, per tua informazione.”
Jisung voltò la testa incuriosito e sollevò le mani. Raggiunse la sua testa e infilò le dita tra le ciocche, muovendole come per spettinarlo, lasciandolo così sorpreso che ci mise un attimo a indietreggiate.
“Ma che fai?”
“Di che colore li hai ora? Sono morbidi, non sembrano rovinati dalle tinte, li curi molto.”
Non capiva quella improvvisa curiosità, ma quel gesto gli aveva fatto balzare il cuore in gola. Improvvisamente non sentiva più freddo, ma tornò a sporgersi verso le mani di Jisung che le infilò di nuovo nei suoi capelli.
“Sono biondi. Non ti sei mai preoccupato di che aspetto avessi, come mai d'improvviso sei curioso?”
Jisung fece spallucce e non rispose, ritirando le mani. Sembrava riflettere sull'informazione.
“Sto cercando di darti una forma nella mia testa.”
E accompagnò quell'affermazione allungando di nuovo le mani e posandole sulle sue guance, sul mento, sulle orecchie, cercando di delinearlo. Poi entrambi si ritrassero, contemporaneamente, imbarazzati.
“Non vuoi sapere che aspetto hai tu?” Gli chiese Minho per sviare il discorso.
La smorfia che fece non seppe come interpretarla.
“Bah, mi ricordo come sono fatto, al massimo sembrerò più magro e con i capelli più lunghi. Non ho mai amato il mio aspetto, il bello di essere cieco è che non me ne devo preoccupare più.”
Quella risposta non gli piacque per nulla, per lui era così carino. Perciò Minho fece ciò che aveva fatto l'altro prima, gli infilò le mani nei mossi capelli spettinati e prese a spettinarlo ancora di più, ma nel mentre gli si gettò addosso con il peso buttandolo all'indietro e ridendo. Cominciò a fargli il solletico, scoprendo che lo soffriva moltissimo, ottenendo di farlo ridere in quel suo modo bizzarro, e smise solo quando udì una voce alle loro spalle.
“Jisung? Sei qui?”
Era la dottoressa. Si tirarono su in fretta, ricomponendosi. La donna li guardava perplessa.
“Minho sei tu vero?”
“Sì dottoressa, mi spiace se ho trattenuto suo figlio, me ne vado subito.”
“No resta, nessun problema. Vi ho sentito ridere e mi chiedevo chi fosse, non pensavo fosse Jisung…” 
La donna spostava lo sguardo tra lui e il figlio con un'espressione che non riusciva ad interpretare e non capì se doveva preoccuparsi o meno, era pur sempre la sua titolare. Si mise in piedi in fretta e aiutò Jisung a fare lo stesso. Lui si lasciò aiutare senza fare una piega e la donna a quel punto apparve chiaramente confusa e Minho cominciò a sentire una vena di panico. La dottoressa Han prese il figlio sottobraccio, poi si voltò verso Minho.
“Minho dovrei parlarti di una cosa che dobbiamo fare al tuo prossimo turno, mi aspetti qui un momento?”
Lui annuì e quando i due sparirono cominciò a panicare. Oh no che cosa aveva sbagliato? Si era preso troppa libertà? Forse Jisung le aveva parlato di quando l'aveva portato fuori? Forse non voleva che stesse fuori? Cosa poteva aver fatto? Se perdeva il tirocinio si sarebbe potuto anche buttare dalla finestra, quel lavoro era letteralmente la sua vita, studiava come un pazzo per laurearsi e un giorno poter lavorare proprio in quella clinica, uno dei posti di lavoro più ambiti alla sua facoltà, aveva lottato per quel posto. Magari poteva farsi mettere una buona parola da Jisung con la madre? Gli sudavano le mani quando la donna tornò e il cuore gli batteva all'impazzata, ma non per lo stesso motivo di prima.
“Non guardarmi così, non aver paura, non ti voglio sgridare. Non sentivo ridere mio figlio così da quando ha voluto mandare via Seungmin e Jeongin. Non so cosa tu abbia fatto, ma sembra un'altra persona ultimamente.”
Minho era a disagio, non sapeva che dire.
“Io… Non lo so, dottoressa, me lo hanno chiesto anche loro. Ma io non lo so.”
“Non importa, è una cosa vostra, ma sono così felice di averlo sentito ridere. Per favore, so che sembra una richiesta egoista di una madre impicciona, ma puoi continuare quello che stai facendo? Prenditi cura di lui, ti prego.”
Glielo disse con un sorriso supplichevole, poi se ne andò lasciandolo lì senza parole, spiazzato, in quel cortile buio.
[...]
Nelle settimane successive, Minho fece esattamente quello che Jisung e Chris gli aveva consigliato. Per i primi tempi lasciò a Jin i suoi spazi, poi cominciò a bussare alla sua porta, sottoforma di messaggi costanti nella loro chat, dal momento che non voleva vederlo dal vivo e quando si palesava a casa sua lo evitava e non gli apriva. Felix si era temporaneamente trasferito a casa sua e aveva occupato la vecchia stanza di Minho. La chat di gruppo era praticamente morta, ma quella singola tra loro non era mai stata così attiva. All'inizio erano tutte suppliche.

One Step Closer || Minsung Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora