In cerca di risposte

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Emily qualche settimana dopo

" Sei silenziosa sta sera, va tutto bene?"

"Si, tutto bene, sono solo stanca!"

"A dire il vero e da un po' che ti vedo strana!"

"No è solo stanchezza! Conservo ancora qualche dolore dalla mia caduta e la notte riposo male!" aggiunsi in imbarazzo. Abbassai lo sguardo sperando che non si rendesse conto del tremito che coglieva il mio labbro quando mentivo. 

"Ok!" tagliò corto, ma non sembrava affatto convinto, tanto che mi guardò di sottecchi per tutta la cena. Cominciai a temere che avesse inteso qualcosa. I miei incubi erano tornati e a nulla era servito andare a dormire nella stanza degli ospiti, spesso mi svegliavo in un bagno di sudore urlando la mia sofferenza nel cuore della notte. Jake conosceva i miei demoni. Sapeva che avevo perso una bambina che ero molto giovane e che avevo tentato di uccidermi per la disperazione. Lui era stato parte integrante del mio processo di guarigione e anche quando molti anni dopo era emerso che non avremmo mai potuto avere un figlio, lui non me ne aveva mai fatto una colpa. Avevamo affrontato un processo di cure presso la clinica dove lavorava lui ma non succedeva nulla e lo stress per me era troppo grande, così ad un certo punto avevamo rinunciato. Eravamo comunque felici, anche da soli, almeno fino a poco tempo fa. 

Era il mio ultimo giorno a casa, l'indomani sarei rientrata allo studio legale per riprendere il mio lavoro, anche se a dire il vero non avevo casi importanti da seguire in quel momento. Decisi di testare la resistenza della caviglia facendo due passi. Indossavo le mie immancabili cuffiette, avevo sempre adorato camminare a passo svelto, seguendo il ritmo della musica senza pensare a nulla, talvolta nemmeno a dove ero diretta. Mentre marciavo però mi resi conto che i miei piedi mi stavano portando proprio da lui. 

In cuor mio sapevo che avevo bisogno di risposte. Arrivata davanti alla sua abitazione, che era davvero in pessime condizioni, lo cercai con lo sguardo ma non lo vidi. sentii invece provenire dal retro un rumore di un martello che colpisce una superficie di legno. Mi avviai con passo deciso. Ero certa che fosse lui, il modo in cui aveva detto "fantastico" con quell'inflessione della voce che mi scioglieva come burro al sole, il tatuaggio sul braccio e il fatto che fingesse di non conoscermi erano tutti punti a favore della mia teoria. Oggi avrei avuto le mie risposte. 

Avevamo stretto un giuramento, ero troppo giovane e lo sapevo, ero ancora una ragazzina, maggiorenne da pochi mesi, ma avevamo giurato che saremmo rimasti insieme, che lui si sarebbe preso cura di noi, che ci avrebbe protette dalla mia famiglia e invece, ci aveva abbandonate.

Quando la gravidanza era risultata difficile da nascondere i miei genitori mi avevano portato alla tenuta dove tenevamo i cavalli, dove io e Taylor ci eravamo innamorati, li il personale di servizio viveva tutto l'anno, una coppia marito e moglie, genitori della mia, ormai, migliore amica. Era stato grazie a lei se io e Taylor avevamo continuato a vederci. Lui si intrufolava nella mia stanza di nascosto, passavamo molto tempo insieme a progettare il nostro futuro e la nostra fuga. Poi la notte che Lorenne era nata lui non si era fatto vedere ed era sparito per sempre dalla mia vita.

Quando raggiunsi il retro , lui era li. Le braccia tese nello sforzo, la schiena muscolosa cotta dal sole, umida di sudore. Che spettacolo! pensai. 

Le mie certezze vacillarono ed insieme a loro la rabbia e il risentimento. Seppi con certezza che se lui , in quel preciso istante, mi avesse attirata a se avrei sicuramente ceduto. "Risposte". Continuavo a ripetermi. ma i suoi muscoli guizzavano sotto i colpi del martello e le sue mani erano davvero grandi, le sapeva muovere. MI sorpresi a pensare a come sarebbe stato avere di nuovo le sue mani addosso e se sarebbero state delicate e vibranti come le ricordavo. D'improvviso mi accorsi che non avevo nemmeno pensato a cosa dire. 

"Ciao!" azzardai. 

Trasalì, non mi aveva sentito arrivare. Posò il martello e venne lentamente verso di me. Una ciocca di capelli scomposta gli ricadeva sul viso accaldato, la scostò con un gesto della mano e tanto bastò per farmi arrossire. 

"Ciao" rispose con tono divertito. Istintivamente ero passata a dargli del tu, avevo accorciato le distanze. 

"Giornata afosa!" Ma cosa stavo dicendo? 

"Sei venuta per le previsioni del tempo?" Sorrideva. Forse trovava divertente che io fossi li senza una ragione, o forse mi stava prendendo in giro. Sentii una punta di nervoso fare capolino.

 "Davvero non ti ricordi di me?" 

Mi guardò ma la sua espressione era cambiata adesso sembrava confuso. 

"Ci conosciamo fin troppo bene e oserei dire in modo piuttosto profondo!" aggiunsi. O era impazzito o era davvero un ottimo attore perché cominciavo a pensare di aver sbagliato persona. 

Fece un lungo sospiro e cominciò a riordinare gli attrezzi sparsi in giro, ma si capiva che stava prendendo tempo, forse cercava le parole giuste per rispondere. Mi passò accanto senza agganciare il mio sguardo. 

"Vieni entriamo, dobbiamo parlare!" Ecco ci siamo finalmente avrò le mie tanto agogniate risposte. Mi avvicinai alla casa e mi accorgendomi che stavo tremando. 

La casa era arredata in modo veramente essenziale ed era più in ordine di come potrebbe sembrare vista da fuori. Il fatto che sembrasse una tana più che una villetta mi fece escludere la presenza anche occasionale di esemplari di sesso femminile. 

"Accomodati pure. Qui è ancora tutto sottosopra ma comunque non sarei il tipo da mobili moderni o da spendere una fortuna in arredamento. Sono una persona semplice, sono cresciuto in campagna in mezzo ai cavalli, o almeno questo è quello che mi hanno raccontato." Le sue ultime parole arrivarono come uno schiaffo in pieno viso. 

"Allora davvero non ti ricordi di me?" 

"Ho avuto un incidente che mi ha causato una perdita totale della memoria, ho dovuto reimparare a camminare a mangiare e persino chi era mia madre e come si chiamava. Alcuni ricordi sono tornati, parlandone, altri no!"

 Accidenti, non era quello che mi ero aspettata. Ero arrivata qui carica di rancore rabbia e domande, pronta a scaricargli addosso anni e anni di dolore e notti in bianco. Volevo gridargli in faccia tutta la mia sofferenza dall'istante in cui mi aveva abbandonata., ma il  suo sguardo era perso nel vuoto. Sembrava un bambino che è stato appena trovato con il barattolo di nutella in mano, colpevole ma senza sapere bene per cosa. Mi pervase un senso improvviso di tristezza e insieme di voglia di abbracciarlo. . Mi alzai. 

Vedendo che mi stavo avvicinando, seppur cautamente, si girò verso il lavello impegnandosi a preparare qualcosa he doveva essere una limonata. Gli tremavano le mani. Cercava di impugnare saldamente il coltello ma il tremito tradiva ansia e  incertezza.  Non erano emozioni che avevo mai visto in un uomo, Jake appariva sempre composto ed equilibrato. 

Appoggiai delicatamente la mano sulla sua schiena. Con un sospiro lasciò cadere il coltello e si appoggiò al lavello con entrambe le mani, le spalle abbassate in un gesto di resa, le labbra dischiuse e gli occhi persi nel vuoto davanti a lui. Con un dito percorsi i contorni della sua pelle nuda, quando il mio tocco incerto raggiunse la cicatrice al centro della sua schiena il suo corpo si irrigidì. Si girò di scatto e non riconobbi il suo sguardo. 

"Vattene, esci di qui!" ringhiò. Ma sono abbastanza sicura che subito dopo con un sibilo dalle sue labbra uscì "per favore" ma ormai stavo già correndo verso casa.

Arrivai a casa ansante. Mi aveva respinta con una brutalità che non mi aspettavo. Ero pronta alla lotta, a ribattere ad ogni scusa, bugia o accusa a respingere le sue verità con determinazione, mi ero allenata mille volte nella mia mente. Non ero pronta a non esistere più  nei suoi ricordi. Mi aveva smarrita. L'avevo perso un'altra volta!



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