𝟏𝟒. 𝐀𝐛𝐮𝐬𝐞

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Le prove generali erano finalmente iniziate, e l'atmosfera era carica di tensione. Ogni ballerino sentiva il peso dell'imminente Gran saggio, un evento atteso per mesi, che rappresentava il culmine di un lungo percorso di allenamento e dedizione. La sala prove, solitamente un luogo di creatività e sperimentazione, era ora pervasa da un clima di intensi sforzi e alta pressione. Ogni movimento, ogni passo, ogni espressione doveva essere perfetto, perché l'errore di uno avrebbe potuto compromettere la performance di tutti.

La routine delle prove era diventata implacabile. Ogni giorno si iniziava all'alba con riscaldamenti e sessioni di stretching, per poi proseguire con ore di prove fisiche estenuanti. Non c'era spazio per la stanchezza: le giornate erano scandite da una disciplina ferrea, con pause minime dedicate solo a brevi momenti di recupero. La fatica si accumulava, ma nessuno osava lamentarsi. C'era un tacito accordo tra tutti: il sacrificio personale era necessario per il successo collettivo.

La componente mentale delle prove era altrettanto impegnativa. Ogni errore veniva analizzato e corretto all'istante. La professoressa, una figura autoritaria ma rispettata, osservava attentamente ogni ballerina e ballerino, pronta a intervenire e a dare indicazioni precise. Il suo sguardo acuto coglieva ogni minimo dettaglio. Le sue correzioni erano puntuali e spesso severe, ma sempre mirate a perfezionare la performance. Non c'era spazio per l'ego: l'unico obiettivo era la perfezione.

Gli specchi lungo le pareti della sala riflettevano l'intensità dei volti e la determinazione negli occhi di ciascuno. Il suono dei piedi sul pavimento, il respiro affannoso, e le note della musica che accompagnavano le coreografie creavano un'atmosfera quasi ipnotica. Ogni ballerino si perdeva nel proprio ruolo, cercando di superare i propri limiti e di entrare in simbiosi con i compagni.

Le serate si concludevano con brevi debriefing, dove si discutevano i progressi e si pianificavano le aree su cui concentrarsi il giorno successivo. C'era un senso di cameratismo e sostegno reciproco che rendeva sopportabili le fatiche. Il Gran saggio si avvicinava inesorabilmente, e con esso la speranza che tutti quei sacrifici, quella dedizione e quell'impegno trovassero la loro giusta ricompensa sul palcoscenico.

La professoressa, nonostante la sua durezza, aveva una visione chiara del potenziale di ciascuno e lavorava instancabilmente per far emergere il meglio da ogni ballerino. Il suo motto era semplice ma potente: "La perfezione non è un atto, ma un'abitudine". E con questo mantra in mente, ogni ballerino affrontava le prove generali con una determinazione incrollabile, pronto a dare il massimo per rendere il Gran saggio un trionfo indimenticabile.

Quel giorno, durante una delle nostre sessioni più dure, la professoressa chiamò Brandon e me al centro della sala. «Mia, Brandon, è ora di lavorare sulla scena chiave. Voglio vedere la passione e la precisione. Questa scena può fare o distruggere il saggio.»

Mi sentivo il cuore battere forte nel petto. La scena chiave richiedeva un'intensità emotiva e una perfetta sincronizzazione tra di noi. Mentre ci preparavamo, Brandon mi lanciò uno sguardo che mi fece sentire un brivido lungo la schiena. C'era la stessa tensione di sempre tra di noi, una consapevolezza non detta che ci portavamo dietro dalla nostra ultima conversazione.

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