Camille (5)

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"C'è una solitudine nel dolore che nessuno può condividere"
Charles Bukowski

Il mattino dopo mi svegliai con un senso di confusione e un dolore intenso che premeva sulla bocca dello stomaco.

Mi stiracchiai, guardandomi attorno. C'era qualcosa di strano.

E d'improvviso, la mia testa mi riportò alla sera precedente: i drink, quel ragazzo, Michael...

«No, no, no» mi allarmai, pensando di aver subito l'ennesima violenza. Non poteva essere accaduto di nuovo. Ma proprio in quel momento, il cellulare squillò, fermando le mie riflessioni.
Lo afferrai, trovando un numero sconosciuto.

Buongiorno Camille,
ti aspetto in ospedale alle 09.00.
Dobbiamo parlare.

Michael... come fai ad avere il mio numero?

Credimi, Minnie.
Non vuoi saperlo.

Lessi il messaggio soffermandomi sullo strano nomignolo che mi aveva attribuito. Da dove veniva fuori? Posai lo sguardo sul mio corpo e notai che ieri sera non solo si era preoccupato di riportami a casa, ma si era anche preoccupato di mettermi il pigiama.

Di Minnie.
Gesù, che imbarazzo.

«Se mi avesse vista nuda?» domandai ad alta voce, sentendo le guance tingersi di un rosso acceso. Portai i gomiti sulle gambe, riflettendo sull'accaduto. «Che vergogna» sussurrai, mentre la mia mente era in bilico su due opzioni: continuare a tentare di ricordare che cosa  fosse successo poche ore prima o riflettere su quello che avrebbe potuto dirmi Michael.

Scelsi la seconda opzione che probabilmente era quella meno dolorosa. Tolsi il pigiama e mi avvicinai allo specchio dove toccai con mano le zone arrossate.

«Ahia» mugolai, sentendo una fastidiosa sensazione giungere in tutto il mio corpo. E poi, notai una ferita sul fianco. Sospirai, prendendo dei capi puliti dall'armadio. Non avevo intenzione di rimanere a guardare qualcosa che avrebbe risvegliato il dolore affrontato nel passato.

Dopotutto la colpa era solo mia, sapevo a cosa andavo in contro se frequentavo locali così affollati. Non volevo neanche tentare di ricordare all'accaduto, non avrebbe risolto nulla. 

Mi truccai leggermente per coprire le occhiaie, le imperfezioni che aveva il mio viso e i due piccoli taglietti che mi ero ritrovata sul braccio. Subito dopo, scesi le scale per poi dirigermi in macchina.

Guidai con più prudenza del solito, avevo paura di scoprire le conseguenze delle mie azioni.
In quel momento, mi passò ogni singolo scenario immaginabile per la testa. 
E l'agitazione iniziava a farsi sentire.

-

Dopo essere arrivata in ospedale e aver indossato la divisa, mi diressi in reparto.
Sentivo di avere lo sguardo di tutti addosso, come se mi stessero giudicando.
Come se fossero a conoscenza di quanto accaduto ieri sera.

Deglutii finché non mi ritrovai davanti Michael.
«Buongiorno, Camille» disse, scrutandomi con attenzione. «Buongiorno» mi limitai a dire, sentendo l'aria mancare. «Vieni con me» ordinò, obbligandomi a seguirlo nel suo ufficio. 

Mi guardai attorno, soffermandomi ad ammirare gli attestati che aveva sulla superficie del muro e sulle due eleganti poltroncine posizionate l'una di fronte all'altra. «Accomodati» indicò una di esse, facendo in modo che mi sedessi. 

«Credo che tu abbia intuito il motivo per cui ti ho chiesto di anticipare il turno» si sedette anche lui, assumendo un atteggiamento distaccato. «Per parlarmi, suppongo» sussurrai, abbassando lo sguardo.

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