Camille (11)

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"Una vita non esaminata non è degna di essere vissuta."
Socrate

Dopo aver inviato il messaggio a Michael rimisi il telefono nella tasca della divisa e il respiro divenne pesante per l'agitazione.

Pochi minuti dopo lo vidi, insieme a Logan, il mio psicologo. «Camille, che cosa succede?» domandò Michael, preoccupato per l'allarme che avevo lanciato.

Non riuscii a parlare e gli occhioni spaventati del bimbo si posizionarono su di me. «Logan, resta qui» ordinò per poi prendermi dal braccio e allontanarmi dalla stanza.

«Che cos'hai trovato? Lividi? Graffi o segni evidenti di aggressione?» chiese, prendendo in mano un block notes.

«In realtà... niente di tutto questo» ammisi, avendo basato tutto sulla confessione del bambino.

«Come?» alzò un sopracciglio e la sua espressione facciale cambiò in una rapida frazione di secondo. «Mi ha detto che la mamma gli alza le mani» confessai, ripensando alla scena.

«Camille, mi stai prendendo per il culo?» domandò, pronto ad esplodere per la rabbia.

«Mi stai dicendo che hai appena lanciato un allarme solo perché un bambino di quattro anni ti ha detto così?» chiese, facendosi sentire da tutti i pazienti del reparto.

«Sai quante ne dicono a quell'età? Ma che cazzo ti salta per la testa!» smentì completamente la mia supposizione, facendomi sentire inascoltata e stupida.

«Ma Michael... » tentai di dire, ma la sua voce mi sovrastò. «Michael niente, Camille. L'ospedale è il primo ente che si preoccupa di prendersi cura di tutti i bambini che arrivano» si fermò, prima di continuare a parlare.

«Hanno interrogato separatamente i genitori per capire la causa della sua frattura alla gamba. Le versioni coincidono! Pensi che siamo degli idioti?» domandò, ormai preso dalla collera.

«Avanti, Camille. Dimmi, pensi che non ce ne freghi un cazzo?» chiese, istigandomi. «Ma se dicesse la verità?» domandai, determinata a non demordere.

«Camille, ascoltami prima che perda la pazienza... » sospirò, toccandosi la base del naso. «Non puoi lanciare un allarme di questo tipo se il bambino non presenta evidenti segni di aggressione o di instabilità mentale. Non ci sono prove e non verremmo neanche ascoltati» affermò, sfoggiando tutto il suo rispetto per le procedure.

«Pensa a tua sorella» dissi di getto, mettendo sul tavolo l'unica carta che mi rimaneva per farmi ascoltare. «Non mettere in mezzo mia sorella, Camille. Non ti permetto di usarla come scusa» esclamò, ma qualcosa nel suo sguardo era cambiato. Adesso sembrava decisamente spento.

«Cazzo, ascoltami! Ti sto dicendo che ho percepito negatività in quel bambino, mi ha detto che la mamma gli fa "boom" facendomi chiaramente capire che si tratti di uno schiaffo. Quindi, sinceramente, me ne frego della procedura» iniziai a gridare a mia volta, stanca per il comportamento che stava avendo nei miei riguardi.

«Ti ho chiamato perché pensavo che avessi un po' di buon senso; all'università mi hanno sempre insegnato che non possiamo mai sapere con certezza se ci stanno dicendo la verità» affermai, ricordando le parole della mia professoressa di anatomia. «Okay, magari è una bugia. Ma se non lo fosse? Sai come vanno a finire queste cose» dissi, guardandolo dritto negli occhi.

«Finirai per avere anche lui sulla coscienza» sfoderai l'arma finale e tutto sembrò tranquillizzarsi.

«Chiamerò mio zio, lo metterò al corrente della situazione. È un pediatra, nessuno meglio di lui sa come interpretare queste situazioni» concluse e io tirai un sospiro di sollievo.

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