Camille (17)

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"Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi."
Cesare Pavese

«Non alzarti nonna, ci penso io», le dissi, mettendole una coperta sopra il letto. In quei giorni mi stavo godendo al massimo la presenza dei miei genitori e di mia nonna in casa. 

Lei mi sorrise debolmente. «Non fare la mammina con me, Camille», disse con la sua solita ironia, anche se la voce era un po' tremolante.

«Ho ancora un po' di forza nelle gambe, sai?»

Risi, scuotendo la testa. «Lo so, nonna. Ma non voglio che ti affatichi. Il medico ha detto che devi riposare il più possibile», deglutii, ripensando all'ansia che avevo avuto nella sala operatoria.

Lei sbuffò piano, sistemando meglio la coperta che le avevo appena posato sulle ginocchia. «I medici sanno sempre tutto, eh?» Mi guardò negli occhi, poi aggiunse: «Ma tu sai ascoltare il cuore, ed è questo che ti rende così brava nel tuo lavoro», esclamò.

«Grazie, nonna», mormorai, abbassando lo sguardo e stringendo il bordo del plaid tra le dita. Non volevo che vedesse quanto ero stanca, quanto quelle ultime settimane mi avessero logorato.

Ma lei se ne accorse lo stesso. Come sempre. «Non devi ringraziarmi, piccola mia. Però devi promettermi una cosa.» 
«Cosa?» le chiesi, alzando lo sguardo. 
«Che ti prenderai cura di te stessa come fai con gli altri.»

Esitai un attimo, sapendo che quella promessa sarebbe stata più difficile di quanto sembrasse. «Lo farò», mentii. Forse più per farla stare tranquilla che per vera convinzione.

Lei mi fissò, come se sapesse che le stavo dicendo solo metà della verità, poi annuì piano. «Ricordati che la forza non sta nel resistere sempre e comunque. A volte sta nel saper chiedere aiuto» affermò, ricordandomi Logan.

Quella settimana non mi ero presentata alle sue sedute, non ero intenzionata a condividere le mie emozioni e a condividere quanto accaduto con il dottore.

Sentii un nodo alla gola, perché sapevo che quelle parole andavano ben oltre la semplice preoccupazione per la mia salute fisica.
Nonna intuiva sempre tutto.

Mi avvicinai per darle un bacio sulla fronte. «Tu sei troppo saggia per questo mondo, lo sai?» sussurrai. 
Lei rise piano. «È l'esperienza, Millie. Un giorno lo capirai anche tu.»

Mi strinse la mano, e in quel momento mi sentii di nuovo bambina, come quando passavo interi pomeriggi con lei, ascoltando le sue storie e imparando da ogni suo gesto.

«Adesso riposa, nonna. Ci sono io a pensare a tutto», le dissi, posandole un altro bacio leggero sulla fronte.

«Faccio finta di obbedire, solo per te», rispose lei con un sorriso stanco ma affettuoso, chiudendo lentamente gli occhi mentre io mi allontanavo dalla stanza.

Mi fermai un attimo sulla soglia, guardandola mentre si sistemava meglio sotto le coperte. Avevo sempre ammirato la sua forza, ma vederla così fragile mi faceva stringere il cuore.

Sospirai piano, cercando di trattenere l'ansia che ormai mi accompagnava da giorni, e mi avviai verso la cucina.

Appena entrai, trovai mia madre intenta a sistemare delle stoviglie sul tavolo. Il rumore dei piatti che si scontravano tra loro riempiva la stanza, ma non riusciva a coprire il caos che sentivo dentro.

«Tutto bene con la nonna?» mi chiese senza voltarsi, concentrata a riordinare.

«Sì, sta riposando», risposi meccanicamente, avvicinandomi al tavolo e appoggiandomi alla sedia. La tensione che avevo accumulato negli ultimi giorni iniziava a premere sempre più forte, e sapevo che non avrei potuto tenerla dentro ancora a lungo.

Poi si voltò. «Camille, che succede?» domandò dolcemente, mettendo giù i piatti e avvicinandosi a me. «Ti vedo troppo pensierosa da quando sei tornata. Vuoi parlarne?»

Esitai per un istante. Poi, come se una diga si fosse rotta, sentii le parole uscire senza controllo. «Credo di...», lei inclinò la testa di lato, impaziente,
«...essermi innamorata», confessai.

Mia madre mi fissò per un istante, sorpresa, e poi un largo sorriso le illuminò il volto. «Davvero?» esclamò, mettendosi una mano sul cuore come se avesse appena ricevuto la notizia più bella del mondo. «Oh, Camille, non sai quanto sono felice per te!» Si sedette accanto a me, posando una mano sulla mia spalla con un gesto affettuoso.

Io, però, non riuscivo a ricambiare quel sorriso. Anzi, sentii subito le lacrime salire agli occhi, e mia madre lo notò immediatamente. «Lui non ti rende felice?» chiese, preoccupata.

Sospirai, incapace di trattenere più a lungo tutto quel groviglio di emozioni che mi tormentava. «È più complicato di quanto sembri, mamma», ammisi, abbassando lo sguardo. Sentii il suo sguardo indagatore su di me, e in un attimo tutto ciò che avevo tenuto dentro nelle ultime settimane uscì come un fiume in piena.

«Si chiama Michael», iniziai, giocherellando nervosamente con l'orlo della mia manica. «Diciamo che è un tipo difficile. Un attimo sembra interessato, gentile, e quello dopo si chiude a riccio, mi tratta come una semplice subordinata, senza emozioni. È come se non riuscissi mai a capirlo fino in fondo, e questo mi sta consumando.»

«Subordinata?» domandò, alzando un sopracciglio. «Dimenticavo... è il vice direttore» affermai, scuotendo la testa. «Camille, cosa ti ho sempre detto?» chiese, con tono serio.

«Se ti devi fidanzare con un superiore, devi avere un aumento di paga», ripetemmo insieme e riuscì a strapparmi un sorriso.

«Ho sbagliato tutto, mamma. Niente aumento di paga, niente trattamenti speciali. Mi sento... persa. Non riesco a smettere di pensare a lui. Quando è gentile, è davvero speciale, e mi fa sentire... importante. Ma dall'altro lato, mi fa male quando si allontana, quando si comporta come se non fossi nulla di più che una pedina nel suo lavoro. È un continuo tira e molla, e io non so più come reagire.»

Lei mi strinse la mano, il suo volto era pieno di comprensione. «Tesoro... l'amore non dovrebbe essere così. Non dovrebbe lasciarti così confusa e insicura.»

Scossi la testa, sentendo le lacrime ormai traboccare. «Lo so, mamma. Ma è così difficile lasciarlo andare. Nonostante tutto, c'è qualcosa in lui che mi attrae, che mi fa sperare che possa cambiare, che possa... esserci per me.»

«Camille, non voglio sminuire i tuoi sentimenti. Ma devi pensare anche a te stessa. Se una relazione ti fa soffrire più di quanto ti faccia stare bene, forse dovresti considerare la possibilità che non sia la cosa giusta per te», affermò, con parole taglienti quanto una lama.

Sapevo che aveva ragione. «Non so se riuscirò a farlo», ammisi con un filo di voce. «Ma so che non posso continuare così.»

«E non devi farlo da sola», rispose lei, poggiando la mano sulla mia. «Sarò qui per te, per qualsiasi decisione prenderai.»

Le lacrime finalmente scesero, ma insieme a esse sentii anche un leggero sollievo. Era come se, dopo aver detto tutto a mia madre, quel peso che mi opprimeva si fosse leggermente alleggerito.

«Grazie, mamma», sussurrai, abbracciandola.

«Sei forte, Camille. E qualsiasi cosa deciderai, so che farai la cosa giusta per te stessa», mi rassicurò, accarezzandomi i capelli come faceva quando ero bambina.

Anche se il caos dentro di me non si era placato del tutto, almeno sapevo di non essere sola. E, in quel momento, mi ripromisi che avrei affrontato Michael a testa alta. Perché, qualunque fosse il futuro tra noi, avevo capito che la persona di cui dovevo prendermi cura, prima di tutto, ero io.

/Spazio autrice/
Ed eccoci qui 🌺

Questi due capitoli sono di introduzione per il prossimo... dove succederà di tutto e di più.

Vi dico solo una cosa: preparatevi.
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