4. Fuori posto

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Anais e Nancy non si rivolsero la parola per quasi tutto il viaggio di ritorno. Entrambe erano troppo spaventate e sconvolte per poter parlare. In quella casa c'era qualcosa. Qualcuno. Anais ne era certa, lo aveva avvertito mentre lottava contro una sofferenza immane che sembrava schiacciarlo all'interno di quelle ricche mura dimenticate.

«Telefonami domattina, okay? Facciamo colazione insieme.»

Nancy si raccomandò come al solito, prima di congedarsi. L'altra si limitò a rivolgerle un sorriso, come a volerla rassicurare. Succedeva sempre così, con Nancy. Era la sua migliore amica, e a volte anche una sorta di sorella maggiore. Sin dal loro primo incontro tra le aule universitarie, aveva nutrito una sorta di istinto verso di lei, quella studentessa bionda e minuta con le gambe storte che non parlava con nessuno.

«A domani, Nancy.»

Vedrai, forse ci sveglieremo e scopriremo che è stato tutto un brutto sogno.

Da due anni Anais abitava all'interno di un monolocale situato in rue Saint-Denis. Era stato un vero colpo di fortuna, dal momento che si trovava a pochi passi da Montmartre, collegato benissimo dalla metropolitana e situato nel centro pulsante della vita notturna parigina. Dal portone d'ingresso, poteva intravedere le pale del Moulin Rouge proseguire con il loro luminoso pellegrinaggio nella calda notte di luglio che si accendeva un po' per volta, insieme alle stelle che non riusciva a vedere, fagocitate dai profili squadrati dei palazzi.

Il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle fu come una sorta di liberazione. Gli spettri che l'avevano inseguita per tutto il giorno non avrebbero varcato la soglia della sua intimità. Il problema ora erano gli altri, che l'attendevano nascosti dall'altra parte, in mezzo al buio e al disordine. Ombre di cui nemmeno Nancy sospettava l'esistenza.

Anais impiegò diversi minuti prima di accendere la luce e raggiungere la camera da letto. Ogni gesto sembrava costarle una fatica immane, quasi come le membra pesassero quintali e il tempo si fosse dilatato all'infinito. Evitò con cura di passare di fronte allo specchio, mentre si spogliava in silenzio e indossava un pigiama leggero. Non amava il proprio corpo, si era sempre sentita troppo magra e storta per poter interessare a qualcuno. Un fascio di rametti pronto a spezzarsi al primo alito di vento.

Le luci a basso consumo non le risparmiarono la vista delle sottili cicatrici che le solcavano il polso destro. Erano quasi invisibili a occhio nudo, ormai guarite e dimenticate, ma agli occhi di Anais apparivano come dei solchi indelebili all'interno della sua anima. Crepe che non era riuscita a nascondere, quando il dolore era diventato troppo per essere sopportato. Era sgorgato di colpo come una sorgente carsica, e lei non era riuscita a fare nulla per fermarlo.

Controllò il telefono e trovò tre chiamate da parte dei suoi genitori. Non era vero che le avevano tagliato i fondi, così come non esisteva alcuna proposta di collaborazione con l'università. Anais non apriva un libro da sei mesi, ormai. Nessuno l'aveva più vista frequentare i corsi, tantomeno sentiva la sua mancanza.

Non sapeva di preciso quando era iniziata, ma aveva capito subito che c'era qualcosa che non andava. Una spina sottile piantata nel profondo della sua anima, un dettaglio fuori porto che sbilanciava la sua già di per sé fragile prospettiva sul mondo.

E no, non era stata la rottura con Jules a scatenare il tutto. Quella era stata inevitabile, un debole tentativo di mascherare qualcosa di più profondo, una vertigine nera che scavava segretamente dentro di lei da troppo tempo.

Impiegò una ventina di minuti prima di decidersi a chiamare suo padre, dirgli che stava bene. Doveva fare una doccia, ma non ne aveva alcuna voglia. Erano ormai le ventidue passate quando si decise ad avvicinarsi al frigo per vedere se c'era rimasto qualcosa da mangiare. Si accontentò di un'insalata di riso in scatola, che consumò in silenzio mentre ascoltava l'ultima puntata del podcast curato di Ariette Durand. Neanche a farlo apposta, quella sera parlava della possibile presenza di fantasmi all'interno del Louvre. Fantastico.

Si addormentò sul divano senza neanche accorgersene, la voce sorniona della bizzarra divulgatrice che la cullava in sottofondo insieme ai rumori ovattati della città.

Le sembrò di sognare. O forse stava solo attingendo a quel bagaglio segreto di ricordi mescolati all'interno della sua mente, cassetti disordinati che non aveva più avuto il coraggio di riaprire.


Camminava a un passo davanti a lei, silenzioso e irraggiungibile. Una sagoma solitaria, immobile, una brezza gentile che gli gonfiava la camicia mentre avanzavano insieme all'interno del labirinto. Non riusciva a vedergli il volto, ma sapeva che stava sorridendo. Le foglie crocchiavano sotto le suole delle scarpe da ginnastica, il silenzio era assoluto. Anais non osava aprire bocca. Temeva che, se solo lo avesse fatto, avrebbe spezzato l'incantesimo. Sarebbe rimasta in attesa per l'eternità, se fosse bastato a tenerlo con lei ancora per un istante. Sperava solo che non si voltasse. Non voleva che vedesse le sue guance bagnate di lacrime ancora una volta.


Si svegliò all'improvviso, nel cuore della notte. Il cuore le faceva male, era come se qualcuno le stesse schiacciando un peso immane contro lo sterno.

Dovette correre in bagno, il sapore dell'acqua fredda sulle labbra fu come una benedizione.

Il cuore le pulsava contro le tempie sudate. Un tamburo che le ricordava di essere ancora viva, che in qualche modo il tempo era tornato a scorrere.

Le immagini della giornata appena conclusa tornarono a perseguitarla, questa volta nitide e spietate. Le porte che sbattevano. Il freddo improvviso quanto innaturale. Il pianoforte che suonava da solo. E quella figura perlacea, imprigionata dietro la finestra del primo piano.

Di colpo Anais capì di non esserselo immaginato, non poteva essere il semplice frutto di un'allucinazione. Chiunque fosse quel giovane, stava tendendo la mano verso di lei per chiederle aiuto. Non era più l'unica a lottare contro spettri invisibili, tormenti che nessuno avrebbe mai potuto percepire.

Doveva tornare al più presto alla Maison d'Albignac e scoprire i suoi oscuri segreti.

Doveva tornare al più presto alla Maison d'Albignac e scoprire i suoi oscuri segreti

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**** Ve lo giuro, Anais l'ha fatta anche a me. Scherzi a parte - perché ragazzi, sulla salute mentale non si scherza affatto! - ci ho messo un po' per decidermi a rivelare questo lato oscuro di Anais. Forse chi conosce la depressione, vivendola sulla propria pelle o avendo accanto persone che ne soffrono, sa di che cosa parlo. Un male invisibile, strisciante, che può nascondersi anche dietro il più luminoso sorriso. E che, dietro la maschera, consuma. Spero solo di aver usato le parole giuste, e di non essere stata indelicata. A volte scrivere è anche un modo per guardare le cose da un'altra prospettiva. Chi di noi non l'ha fatto almeno una volta? 

Per quanto riguarda Anais, il fatto che soffrisse di questo male era stato deciso sin dalla progettazione della storia. Era dentro di lei, così come il colore degli occhi o dei capelli. E sarà molto importante per la sua evoluzione.

Alla fine di questa triste parentesi, però, voglio lasciarvi una delle canzoni che ha ispirato questo racconto. Per me è molto importante, e spero che andando avanti nella lettura riuscirete a coglierne il significato.

A presto!

* se siete ancora qui, vi ricordo il mio profilo semiserio su Instagram: le_storie_di_fedra *

Vi voglio bene <3

F.

La promessa dello StregoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora