1. C'est bientot la fin

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5 settembre 1792


Galoppava al disotto di un cielo infuocato, la polvere che ormai gli era penetrata fin dentro i polmoni. L'avambraccio destro era un'unica puntura dolorosa. Avvertiva il sangue sgocciolare attraverso la manica della camicia ormai umida, di sicuro stava macchiando di amaranto il mantello immacolato del suo cavallo.

Tristan serrò la presa sulle redini con la mano sana. La lingua schioccò nella speranza di incitare lo stallone ormai allo stremo a correre più forte, nonostante il fiato grosso e il collo ormai fradicio di sudore. Lo avvertì vacillare sotto il suo peso e capì di essere arrivato al limite. Non poteva rischiare che gli stramazzasse in mezzo alla strada proprio ora.

Un sole livido si abbassava tra le coltri gravide di tempesta, mentre all'orizzonte echeggiavano i primi tuoni. Tristan avvertì un fremito di paura attraversargli le membra da capo a piedi. Impossibile non collegare quel fragore cupo alle esplosioni dei cannoni che negli ultimi mesi avevano squarciato l'intera Parigi, mentre cancellavano un giorno dopo l'altro tutto ciò che restava di un mondo ormai ridotto in macerie.

Il giovane serrò le gambe intorno al costato del cavallo e aguzzò lo sguardo verso l'orizzonte. Gli sembrava già di intravedere le torrette più alte del castello emergere come sentinelle tra le colline boscose, dove la sua famiglia attendeva ignara di tutto.

Il cuore gli si gonfiò in preda a un turbinio di emozioni.

Era stato uno sciocco, doveva ammetterlo. Non poteva certo immaginare che la tanto millantata ragione del suo secolo potesse celare simili mostri. E che bastassero le sue nobili intenzioni a cambiare un mondo dove tutto era stato già deciso da forze che non avrebbe potuto controllare in alcun modo, poco importava quanto fossero nobili i suoi natali.

Un fulmine si abbatté sul fianco della collina, seguito subito dopo dallo schianto del tuono. Il cavallo scartò terrorizzato. Tristan lo richiamò con decisione, gli occhi scuri fissi sul castello.

"È la fine del mondo" pensò mentre lo spronava di nuovo al galoppo.

Non riusciva ad abbassare lo sguardo sul braccio destro, ormai intorpidito. Avvertiva le forze scivolare via dal suo corpo a ogni falcata sul terreno polveroso. Lottò contro la tentazione di voltarsi, sicuro di ritrovarsi alle spalle l'orda di derelitti armati di picche che marciava verso il castello, pronti a distruggere e uccidere senza pietà. Avevano già bruciato abitazioni nobiliari alle porte di Parigi, aveva visto le fiamme levarsi verso il cielo mentre lasciava la città in un ultimo impeto di sopravvivenza.

I prossimi sarebbero stati loro. Non poteva scappare.

"Mi dispiace..."

Le parole del Duca gli rimbombarono severe nella memoria, affilate quanto la lama che gli aveva inciso le carni in quel giorno di morte e rinascita, lotta e fuga, disperazione e desiderio.

Entro il calar del sole...

Tristan frustò lo stallone con il risvolto delle redini, le lacrime che si mescolarono con la polvere. Non gli importava più delle conseguenze. Il profilo acuminato del castello si era fatto più vicino, un miraggio stagliato nella caligine. Mancava poco, ormai.

Forse c'era ancora una speranza. Bastava solo correre più veloce.

Prima che la marea del popolo in marcia sommergesse ogni cosa, per cancellare il vecchio mondo e dare inizio a qualcosa che niente e nessuno – nemmeno Dio in persona – avrebbe potuto fermare. 



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