CAPITOLO 1

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Era la fredda mattina del 21 febbraio 1981. Stavo osservando quella stanza, vuota di arredamento e di ricordi. Sentii un sospiro di rimprovero provenire dalla soglia della porta, ma non mi ci volle tanto per realizzarne il motivo.

Tine, non hai ancora svuotato i bagagli?≫ Mia madre mi osservava con uno sguardo di rimprovero e le mani incrociate al petto.

≪Dai, mamma! Ora puoi smettere di chiamarmi così, non sono più un bambino.≫ La imitai nella posizione e nellocchiata. I suoi occhi di un verde smeraldo -identici ai miei- si addolcirono, spiccando dalle lunghe ciocche castane che li avvolgevano.

≪Tu sarai sempre il mio bambino.≫ Si avvicinò e iniziò a riempirmi la faccia di baci. Non riuscii a reprimere un sorriso, e lo notò anche lei.

Mia madre mi aveva cresciuto da sola, da quando raggiungeva a malapena la maggior età. Mio padre, invece, non l'ho mai conosciuto, anche se la mamma mi parla spesso di lui. Era irlandese, si erano conosciuti durante un viaggio di studi. Il mio soprannome, Tine, viene proprio dalla sua lingua e significa fuoco. Non mi era mai stato veramente spiegato come lavessi ottenuto.

Finii di svuotare le valigie e di sistemare i vestiti nel vecchio armadio di legno che occupava metà stanza. Dopo un po', sentii il campanello suonare e mi avviai incuriosito verso lingresso. Vidi la mamma spostare velocemente delle scatole verso la cucina, per poi correre alla porta. Due anziani si trovavano sulla soglia: una donna più bassa, la quale portava gli occhiali sulla punta del naso e i capelli bianchi raccolti in uno chignon -anche se la cosa che spiccava era il vestito che indossava, di un azzurro acceso con dei fiorellini cuciti a mano-, e un uomo al suo fianco teneva in mano una coppola grigia e sorrideva. Mia madre ricambiò i calorosi sorrisi, sorpresa.

≪Buonasera, benvenuti! Siamo i vostri vicini di casa.≫ L'anziana con un cenno della testa alluse all'abitazione di fianco, che spiccava tra le altre per il giardino coperto di fiori colorati. Tornò a rivolgersi a mia madre con un dolce sorriso, e le porse un "regalo di benvenuto" ricoperto di alluminio.

≪Siamo venuti a portarvi questo≫.

Mia madre non poté resistere a fare accenno al buon profumo della torta e a ringraziare con un sorriso a trentadue denti. ≪Mi chiamo Jessica, e lui è mio figlio Elio,≫ mi fece segno con il braccio di avvicinarmi, poiché mi trovavo ancora a sbirciare la situazione dalla soglia della mia stanza. Sforzai un sorriso educato ai due anziani e mi aggiunsi ai ringraziamenti per la calorosità. La donna mi afferrò la guancia con le nocche dellindice e del medio, alludendo alla sua nostalgica giovinezza. Tuttavia, i due vecchietti non chiesero di accomodarsi in casa, poiché consapevoli del lavoro che ci aspettava. Quando la porta si richiuse, capii dallespressione sorpresa e divertita di mia madre che la mia guancia era arrossita talmente tanto da diventare dello stesso colore dei miei capelli ramati.

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I primi giorni li spesi a bighellonare per il paese e ad esplorare i parchi. Tuttavia, non mi spinsi oltre. Non osavo entrare nel bosco al confine della città. Anche di giorno era un luogo sinistro: le forme particolari degli alberi, toccati dal sole, disegnavano con le ombre delle figure sul terreno.

Molto spesso, a casa, mamma organizzava delle cene con i vicini anziani, Giuseppina e Aurelio. La donna appariva sulla porta sempre con un dono nuovo: alla prima cena portò dei biscotti ripieni di crema pasticcera e gocce di cioccolato, alla seconda uno stufato di coniglio e, quella sera del quinto giorno, apparve con una parmigiana di melanzane cotta al forno. Ogni volta, al marito capitava di portare due sedie per sederci tutti insieme nel piccolo tavolo in cucina. Mia madre li accolse e li fece accomodare con un gesto della mano, mentre sfornava un polpettone bruciacchiato. Dopo aver urlato un "buon appetito", ci avventammo sulla parmigiana e sui salumi.

≪Caro Elio, dimmi un po', come mai hai questo splendido nome?≫ La vecchietta mi stava fissando con il suo solito sorriso caloroso.

Risposi vagamente alla domanda, realizzando che era un comunissimo nome maschile e che la donna tentava solo di rompere il ghiaccio.

≪In realtà non ne ho idea. So che deriva dal nome del dio greco del sole e del fuoco, ma non so perché mi chiamo così.≫ A quel punto rivolsi lo sguardo a mia madre, che mi sorrideva dolcemente.

≪Sei nato da una piccola fiamma, che poi si è trasformata in qualcosa di molto più speciale. In più, quando eri piccolo, avevi dei ciuffetti ramati, identici a quelli di tuo padre.≫ Spostò gli occhi verso un punto indistinto della stanza, come se stesse viaggiando con la mente attraverso i ricordi. Riprese a parlare: ≪Non appena vidi il tuo viso per la prima volta, capii che saresti stato forte come lui≫.

La vecchia si allungò e le afferrò saldamente una mano. ≪È un nome meraviglioso. Sai, anche mio figlio aveva i capelli ramati, da ragazzo.≫ Mia madre sbocciò in un sorriso.

Nel frattempo, Aurelio guardava solamente il pezzo di polpettone nel suo piatto, come se fosse oro, quando qualcosa sembrò risvegliarsi in lui. Appoggiò delicatamente la mano sulla spalla della moglie e la incitò a rivelare l'argomento principale della serata.

≪Oh, ma certo! Jessica cara, so che stai cercando un lavoro qui in città.≫ Aspettò di vedere mia madre annuire, per poi proseguire: ≪Ho qualcosa che fa al caso tuo: nel negozio del fioraio di città si è appena liberato un posto.≫

Molto presto i pensieri presero il sopravvento, facendomi ritrovare da solo con i miei dubbi e le mie domande, su tutto ciò che mi veniva in mente in quel momento.

Perché non ho mai conosciuto mio padre? Cosa gli è successo?

Come andrà a scuola? Forse i compagni non saranno così terribili come quelli del vecchio istituto.

Cosa c'è oltre il bosco? Ha un'aria così misteriosa. Forse domani potrei visitarlo.

Giuseppina e Aurelio sono così gentili con tutti o solo con noi? Sotto qualche aspetto sembrano quasi inquietanti...

Furono i rumori delle sedie che rigavano il pavimento a riportarmi alla realtà. Non mi servì guardare l'orologio per capire che si era fatto tardi. Le stelle ormai avevano dominato il cielo e la mamma aveva una faccia distrutta dalla stanchezza. Prima che io potessi rifugiarmi nel mio letto, mi chiamò. ≪Tesoro, domani siamo noi a cena da Aurelio e Giuseppina. Vuoi venire con me al negozio domani mattina per cercare qualcosa da indossare?≫

≪No, grazie mamma. Troverò qualcosa da mettermi nell'armadio.≫ Dopodiché mi diede la buonanotte, che ricambiai.

Il Mistero dell'Altro LatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora