Capitolo 3

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Sandra

"È una follia!" grida Ivan. "Una stronzata!"

"Shhh" Mi metto l'indice sulla bocca, guardando alla mia destra e alla mia sinistra. "Non gridare, sai che qui ci sono orecchie da tutte le Parti".

In effetti, questa è una cosa di cui non mi sono mai capacitata. C'è sempre stato modo, da parte dei piani alti della Commissione, di scoprire qualunque cosa noi agenti dicessimo all'interno del nostro ufficio. Una volta, per esempio, stavo parlando con la mia collega Jenna della mensa, e lei aveva accennato a quanto il cibo, alle volte, fosse scadente.

Quello stessa sera, la cuoca della mensa si era rifiutata di darle un piatto di riso, e Jenna era stata costretta al digiuno. 

Il mio ragazzo continua. "Non me ne frega niente! Che sti stronzi sappiano pure quanto mi dà al cazzo sapere che lo stupido capo della Commissione vuole separarci".

Se Cinque scoprisse ciò che ha appena detto su di lui, sono sicura che lo impiccherebbe al lampadario dell'androne della nostra sede.

Mi alzo dalla mia sedia in pelle, faccio il giro della scrivania e raggiungo Ivan, seduto sulla poltrona davanti alla mia. Mi appoggio sulle sue ginocchia, cingo le mie mani attorno al suo collo e lo guardo negli occhi.

In quegli occhi che, chissà per quale strano gioco del destino, mi hanno fatto innamorare di lui. E dico strano perché so benissimo che, nel mondo, ci sono persone più attraenti di lui. Anche nella Commissione, magari.

"Non capisco dove sia il problema", gli sussurro continuando a ricambiare il suo sguardo. "Abbiamo sempre tanto tempo libero, possiamo vederci durante quello. Quando né tu né io lavoriamo".

"Ma io ti voglio con me. Per me". Lo dice con un tono che si fa più roco. Se fossi qualche altra persona, direi sicuramente che sta dicendo tutto ciò con cattive intenzioni. Poi, però, ripenso a ciò che ho appena immaginato e faccio una risata nella mia mente. Perché mai Ivan dovrebbe farmi del male? Lui continua. "Per me e per soddisfare tutte le mie esigenze".

Okay, questo forse è un po' troppo.

Cerco di scostarmi da lui, devo prendere aria perché ciò che ha appena detto mi spaventa e non poco. Continuo a dirmi che non mi farebbe mai del male, e me ne convinco. Ma lui adesso mi sta tenendo il polso in un pugno troppo stretto, ho bisogno di andarmene via. Anzi, di mandarlo via. Perché questo è il mio fottuto studio, dopo tutto!

"Che fai?" domando.

"Voglio solo passare del tempo con te. Niente di cui preoccupa-" 

Il rumore della porta che si spalanca lo interrompe. Guardo dietro di me, alle sue spalle, e vedo una degli assistenti di Cinque sull'uscio. Indossa una tuta nera in pelle, dei coltelli sulla cintura e un taglio ormai rimarginato sulla parte destra della nuca.

"Ivan, Cinque desidera averti nel suo studio per discutere del tuo cambio di ufficio", enuncia lui con la voce ferma. Forse... arrabbiata? Schifata? Come se sapesse che cosa sta succedendo qui dentro? "È urgente".

Molla la presa dal mio polso, io mi alzo affinché lui possa lasciare il mio ufficio. Tutto quest'ultimo minuto è stato travolgente, tanto che d'istinto abbasso lo sguardo e noto che il punto in cui mi ha stretta è diventato scarlatto.

Mentre continuo a guardarmi e a massaggiarmi la posizione che mi fa male, Ivan esce scortato da Diego Hargreeves. Io, però, me ne accorgo solo dopo, quando sono da sola. E quando mi chiedo se non mi abbia salutata perché, dopo due anni, ha capito che per lui è meglio usarmi come un semplice oggetto. 

*

Prendo la mira, faccio un respiro profondo, e premo il grilletto. La testa del manichino davanti a me esplode, piccoli pezzi di cotone si spargono in mezzo alla sala d'addestramento della Commissione. 

Vengo qui, quando devo rilassarmi. È ironico, ma solo in un posto dove posso uccidere manichini di tessuto o fare acrobazie sapendo di non farmi male, posso evitare di pensare al mondo che mi circonda.

Mi avvicino al punto che ho colpito. Tra tutti i batuffoli cerco il bossolo che ho tirato, e una volta che l'ho preso mi volto. 

Sono faccia a faccia con Diego, il fratello di Cinque, lui che mi scruta dalla testa ai piedi come se stesse cercando delle parole che dalla sua bocca non sanno uscire. Ci vuole un po', io intanto mi tolgo gli occhiali protettivi dal volto, e continuo a guardarlo.

"Sai, io ho una figlia", dice tutto d'un tratto.

"Ne sono a conoscenza. Le voci su voi Hargreeves girano. La madre è una certa Lila, esatto? Anche lei faceva parte della Commissione".

Gli occhi, nel momento in cui pronuncio quel nome, si illuminano. "Sì, è lei. Adesso non lavora più per stare con la piccola. Sai, la nostra bambina ha cinque anni appena", continua. "E quando crescerà e avrà il suo primo fidanzatino, oltre alla gelosia, io avrò un nuovo tipo di personalità".

Lo guardo confusa, poi però distolgo lo sguardo da lui. Ripongo la pistola e il bossolo sul tavolo al centro dell'arsenale. "E cioè?"

"Quella che, se mai dovesse venire tradita o ferita in qualunque modo, si assicurerà che il suo fidanzato paghi".

Continuo a non guardarlo. So dove vuole arrivare, so che cosa sta insinuando.

"Bravo, Diego Hargreeves", dico il suo cognome per fargli capire che, qualunque cosa lui voglia, deve farsi distante da me. "Ciò vuol dire che sei un buon padre. Ti auguro una buona giorna-"

Interrompe di nuovo il discorso. Faccio per andarmene, ma prima che io possa finire la mia frase mi prende per il braccio, la stretta poco più in alto del polso. 

"Se mai il ragazzo dovesse rendere il polso gonfio e rosso a mia figlia, io lo infilzerei con i miei coltelli come uno spiedino".

Lo guardo. Le parole sono identiche a quelle che mi ha detto Cinque ieri. "Voi Hargreeves siete tutti uguali", bofonchio. "Fate insinuazioni insensate e poi dite di volermi proteggere. Dovete lasciarmi stare e farmi fare il mio lavoro in pace".

"Chi ti ha detto che le nostre sono insinuazioni insensate?" Lo sguardo di Diego non è carico di ira come le sue parole possono far intendere. C'è dell'altro. C'è apprensione. "Vai da mio fratello Klaus, se non mi credi. Lui è il chiaroveggente della Commissione, può mostrarti tutte le prove di cui hai bisogno".

Poi capisco ancora meglio. Non sono solo parole d'apprensione, le sue. Sono parole di pena. Lui prova pena per me e ciò che Ivan ha combinato.

Watcher || Five HargreevesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora