Capitolo 15

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Cinque

Credevo di aver visto Sandra in tutte le sue sfumature: felice, triste, arrabbiata e nel bel mezzo di un bacio. Credevo che fossero necessarie solo queste per conoscere una persona, ma guardandola in questo momento mi rendo conto di quanto questa mia affermazione sia sbagliata. 

Vederla dormire è una delle sfumature che fa sicuramente una persona, e ringrazio chi lassù per avermi permesso di farmi arrivare qui, adesso. 

In questo momento è l'alba, io ho sì e no dieci minuti di sonno che mantengo da quarantatré ore, ma devo rimanere ancora concentrato per ciò che le ho promesso e che ho promesso a me stesso. Non che lei sappia effettivamente del motivo per cui non ho chiuso occhio e per cui non posso smettere di guardarla.

Le farebbe strano sapere che queste due condizioni derivano dal fatto che sono gli unici modi che ho per proteggerla e dal fatto che, anche se volessi, non riuscirei a smettere di guardarla perché il mio cuore ne sentirebbe la mancanza.

O è anche il cervello che mi impone ciò?

E, beh, anche il mio organo riproduttore?

Mi alzo con lo sguardo ancora su di lei, perché mi sento la gola così secca che me la potrei far esplodere da un momento all'altro, quindi mi dirigo verso il bagno di questa camera minuscola. Lascio la porta aperta - del resto un udito infallibile come il mio non sbaglierebbe mai - e faccio scorrere l'acqua del lavabo.

Aspetto che si raffreddi, e appoggio le labbra al getto per poi bere due sorsi. E anche per poi sciacquarmi le mani e passarmele sui capelli, visto che ho perso il conto dei giorni in cui sono dovuto ricorrere al gel. 

Quando alzo la testa e mi guardo allo specchio, non c'è solo il mio volto orripilante a sorprendermi. Delle occhiaie chilometriche e le labbra pallide lo sapevo, piuttosto mi meraviglio di vedere che Sandra, dal suo profondo sonno, è ora sveglia, dietro di me.

Ha gli occhi serrati a due fessure, ma le iridi scorrono all'impazzata come se fosse sull'attenti.

"Non hai dormito", dice, ed io capisco che non era sull'attenti, ma stava semplicemente pensando. Ha lo sguardo sul mio completo, e questo spiega come mai sia arrivato a dedurre l'ovvio. Anche perché io me lo sogno di non dormire con il pigiama.

"No". 

Senza timore della mia reazione o di un mio giudizio, l'unica cosa che fa è avvicinarsi al water, abbassarsi pantaloni e mutandine e sedersi sulla tazza. Mi asciugo le mani il più velocemente possibile, perché nonostante tecnicamente sia stata lei ad invadere la mia privacy, è come se il suo sguardo mi abbia appena fatto credere che la situazione è inversa e che il bastardo sono io.

Nonostante la mia velocità, lei fa per prima e in pochi secondi si rialza pigiama e intimo. Si avvicina al lavandino, apre l'acqua e io, dietro di lei, guardo ogni suo movimento. Tutto ciò che è riflesso allo specchio, perché io non guarderei mai il dietro di una ragazza intenzionalmente.

"Come mai non hai dormito?" domanda chiudendo l'acqua. "Russavo?"

"No", rispondo e capisco che devo trovare un verbo convincente per cui lei non scopra il reale motivo della mia visita. "Pensavo".

Le dita affusolate vengono circondate dall'asciugamano bianco chiazzato di chissà che cosa di questo motel sporco. "E a cosa?"

"Un po' di tutto".

"Sei così misterioso?"

Sandra si avvicina alla soglia della porta. Esce prima di me, e io per un istante chiudo gli occhi e mi concentro. Non devo dirle le mie vere intenzioni, non devo dirle che voglio proteggerla, non devo dirle che non la voglio più vedere come agente della Commissione perché il posto ideale, per lei, sarebbe a casa mia, tra le mie braccia, nel mio letto.

Apro gli occhi. "Solo quando devo esserlo". Ed esco.

Lei è lì, stesa sul letto, sopra le coperte. Ha acceso la luce alla destra del letto, e io posso vedere con un gioco di ombre fortunato ogni centimetro del suo volto a cui non avevo mai posto attenzione.

"E perché adesso devi esserlo?"

Io non rispondo. Non posso. Non devo.

Quando lei poggia il palmo della mano alla parte del letto vuota accanto a sé, però, sento le certezze venire meno...

Con un'incertezza che non credevo tale per me, Cinque Hargreeves, incomincio a sbottonarmi il blazer nero, e faccio come mi dice.

Ci guardiamo per qualche istante, lei che ruota piano il busto affinché possa vedermi bene.

"Mh?" mi esorta a parlare.

"Perché..." Ci sono troppe parole nella mente, così poche cose che posso dire. "È un meccanismo di difesa", rispondo, con la voce appena più di un sussurro. "Ho vissuto abbastanza, ho visto abbastanza, per sapere che la vulnerabilità può ucciderti. Lasciare entrare le persone nella mia vita è un rischio che non posso permettermi di correre".

"Non sembra che tu non mi abbia fatto entrare," dice, e c'è qualcosa nella sua voce, una sfumatura che non riesco a decifrare. Non è solo la frase in sé, è il modo in cui la pronuncia. 

In pochi secondi sento la sua mano, leggera, sfiorare il mio mignolo. È un tocco quasi impercettibile, ma mi arriva forte, più di quanto mi aspettassi. Mi ritrovo a trattenere il respiro, e mentre la guardo, vedo che sta aspettando qualcosa.

"È diverso", dico, con voce calma ma ferma. "Tu sei diversa".

"Diversa... come?" chiede, e al diavolo tutto ciò che mi ero imposto di non fare.

Se vuole delle spiegazioni o delle conferme, sono l'unico che gliele può dare e gliele darà mai.

La sua domanda resta sospesa nell'aria per un momento prima che io faccia la mia mossa. Con un movimento rapido, le afferro il polso e la tiro in grembo, il suo corpo improvvisamente a cavalcioni del mio. Le mie mani si alzano per posarsi sui suoi fianchi, tenendola ferma, le mie dita che rischiano di conficcarsi nella sua carne.


"Diversa perché a differenza di tutti gli altri, in realtà ti voglio intorno."

"Solo intorno?" chiede con le labbra a pochi centimetri dalle mie.

"No, non solo intorno. Ti voglio il più vicina possibile".

Watcher || Five HargreevesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora