Capitolo 6

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Cinque

Il suo profumo mi invade le narici. Mi inebria. Mi intossica.

Palo santo e vaniglia. 

Una cazzo di droga per uno che si era giurato di non toccarle mai.

Sandra appoggia il suo volto al mio petto, mentre io la stringo tenendola per i fianchi e la guido in quella che sembra essere una danza della consolazione.

Le accarezzo dolcemente i capelli, le dita che sembrano scorrere su della seta morbida, un desiderio che sfocia in pensieri che mai avrei avuto su ogni altra ragazza. Quello di tirarla a me, baciarla, tirarle i capelli e sentirla gridare il mio nome.

Tolgo le mani. Un'immaginazione così è spaventosa.

Dopo quella che sembra un'eternità - un'eternità piacevole, l'aldilà da cui nessuno mai andrebbe via - lei parla. 

"Lei non può fare così dopo che ho ricevuto un rifiuto da parte di un ragazzo". La voce rimbomba nel mio petto, e i pensieri poco casti di prima continuano e continuano dentro di me.

Sento le labbra stringersi in un sorriso malizioso. "Perché no?"

"Ne approfitterei. Della situazione e anche di lei".

"Usi ancora il tono formale? Incomincia dandomi del tu". La danza continua, i nostri passi sincronizzati con la musica. Stringo Sandra ancora di più a me, un'ombra di protezione che mi passa dagli occhi e che mi porta a non voler distruggere ulteriormente quel vaso di cristallo già frantumato, i nostri corpi che sono adesso incollati. "E poi, puoi approfittarti di me. Non mi importa".

"Cosa?" Mi guarda come se fossi impazzito. E, diamine, forse lo sono.

"Mi hai sentito. Approfittati di me ogni qualvolta tu ne senta il bisogno. Sei importante, per me, voglio saperti felice".

Il fatto che Sandra stia continuando a danzare mi suggerisce che, sotto sotto, non è del tutto contraria a ciò che le ho appena proposto. A quello che le ho appena confessato su un piatto d'argento.

E cioè che, cazzo, per lei farei di tutto.

"E cosa posso fare per approfittarmi di te?" chiede con un sussurro.

"Qualsiasi cosa. Usami per avere conforto, per provare piacere, tutto ciò che ti serve per superare lui. Utilizza questo tempo per sentirti meglio. È l'unica cosa che mi interessa". 

Lei sembra convinta dalle mie parole. Da ciò che le ho proposto. Sembra quasi che stia per cedere, perché per pochi istanti, pochissimi, la vedo esitare. Respirare più pesantemente.

Poi, si avvicina a me, alza di poco il volto, mi guarda le labbra. 

Io, d'istinto, faccio lo stesso, e quando se ne rende conto la reazione è nettamente diversa.

Si allontana subito da me, evita di guardarmi negli occhi ed esce senza alcun preavviso dal mio ufficio.

Cazzo.

*

Bevo un sorso di caffè, e mentre il liquido bollente è ancora nella mia bocca perché il mio esofago si rifiuta di assumere qualcosa di così caldo, osservo il panorama che il balcone della mia abitazione offre.

Vivo al ventitreesimo piano di un palazzo della zona della città piena di grattacieli. Da qui, riesco perfino a vedere le molto più piccole e molto più umili case dei miei fratelli. Vedo la piccola villa che Allison condivide con sua figlia Claire e suo marito Raymond, vedo il palazzo dove Diego, Lila e la loro bambina vivono, in una disposizione strategica perché, lì, sono disponibili scuole, asili e parchi giochi per chi ha appena compiuto cinque anni.

E così via.

Io, però, volevo le cose fatte in grande. Perché, se sei il capo di un'organizzazione che uccide chiunque alteri il flusso temporale, ottieni un buon stipendio e ti puoi permettere di vivere in una casa che, per una persona, è troppo grande. A me, però, è sempre andato bene, perché dopo aver vissuto cinquantotto anni della mia vita nel nulla più totale e nel disperato tentativo di sventare ben tre apocalissi, un po' di lusso me lo meritavo, o no?

Continuo a guardare la vista della città che riposa. Le luci delle abitazioni si spengono una dopo l'altra, le persone che passeggiano in giro per le strade si ritirano nelle proprie case.

Io, rispetto a tutti loro, non dormo. Bevo il caffè perché, per ciò che devo fare, ho bisogno di essere un gufo con la vista notturna.

Quindi, continuo a osservare la città in attesa della mia preda. Non mi importa aspettare, posso farlo per l'eternità, se sono costretto.

Dopo aver controllato infatti il mio orologio da polso di una delle migliori marche nel mercato, noto che la persona con cui voglio parlare è qui con ben quindici minuti di ritardo.

Pazienza.

Suona al citofono, gli apro, e attendo che l'ascensore ultra-tecnologico e veloce lo conduca da me.

Dopo due minuti, è sull'uscio della porta.

"Ciao, Ivan", dico. "Prego, entra pure".

Watcher || Five HargreevesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora