7. Il giusto peso

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[Francesco]

La settimana precedente s'era conclusa nel peggiore dei modi – un crescendo di tensione, ansia, frustrazione, culminando con la lite con i suoi genitori e gli sculaccioni volanti presi da papà – ma la settimana entrante era cominciata anche peggio.

Tanto per cominciare, aveva faticato ad alzarsi. Anche se era andato a letto all'orario, dopo un bisticcio con papà che aveva nuovamente minacciato l'uso della spazzola, quella mattina proprio non aveva avuto la voglia e la forza di alzarsi, nemmeno ai ripetuti richiami di suo padre, tra uno e l'altro riusciva persino a riaddormentarsi. Inutile spiegare ai suoi genitori che non lo facesse di proposito, che no, non era certo perché andava a dormire tardi: aveva faticato a prender sonno, aveva dormito male, agitato, tra tanti pensieri. Era andato a dormire amareggiato, ecco tutto, ed era stato svegliato con un umore pessimo.

Così era arrivato a scuola, scuro in viso, le occhiaie, i capelli più spettinati del solito. Gianlu aveva capito subito il suo stato d'animo e non gli aveva più dato il tormento, con quella storia che era diventato 'strano'. Era di pessimo umore e non serviva indagare. Non poté dire lo stesso di Giovanni e Alberto, che presero a punzecchiarlo, come al solito. Erano amici, tutti e cinque, cioè lui, Gianlu, poi gli altri due, seduti dietro, e Mattia, che era il migliore della classe, ma aveva comunque stretto amicizia sin da subito con loro, per solidarietà maschile, contro due terzi della classe popolata da femmine. Francesco si divertiva con loro, ma avevano sempre quel modo di scherzare pesante, che a volte proprio non digeriva.

Durante la prima ora, una barbosa lezione di matematica, esercitazioni alla lavagna, per fortuna la prof aveva chiamato tutta la fila opposta alla sua, che stava sul lato sinistro della classe, vicino alle finestre, a secondo banco, Gianlu gli aveva scritto sul quaderno a quadretti. Litigato coi tuoi? Che hai fatto ieri? Ieri abbiamo perso. Ma che gliene fregava a lui se la squadra aveva perso in casa! E poi, gli dava fastidio quel modo di dire, abbiamo perso. Mica giocava Gianluca, insomma!

Stanno diventando pesanti che palle. Scrisse in risposta al compagno, poco sotto. E poi aggiunse: ho dormito male.

Nell'aula scolastica si era fatto buio, il cielo completamente annuvolato, ma nessuno aveva ancora proposto di accendere la luce, la lavagna multimediale illuminata bastava a svolger gli esercizi e nemmeno la prof sembrava essersi resa conto che, complice l'orario, di mattino presto, e il buio, la classe sonnecchiava. In quel torpore, l'ora era lentamente scivolata via.

Al suono della campanella, molti ragazzi erano scattati in piedi, a cominciare da Gianluca, che, il più esterno nel banco, stretto contro il muro, l'aveva quasi scavalcato pur di allontanarsi. Francesco, invece, s'era accasciato sul banco, sul punto di addormentarsi, non fosse stato per le urla e le chiacchiere sguaiate che s'erano levate nel cambio d'ora. Aveva riconosciuto la voce dei ragazzi dietro di lui, Giovanni e Alberto, e poi quella di Mattia, che stava seduto dalla parte opposta accanto a Stefania, e che non esitava ad allontanarsi per riunirsi con gli altri. C'era poi un altro gruppetto di maschi, ex compagni delle elementari, che tendevano a isolarsi, erano tutti fissati unicamente col calcio, stavano sempre in tuta e Francesco li ignorava. Solo Gianluca si univa di tanto in tanto, per la passione comune. Ma la frattura tra i due gruppi era netta: gli altri si atteggiavano troppo, facevano casino, non studiavano, e a volte prendevano in giro Francesco e i suoi amici perché invece preferivano giocare ai videogiochi, andare in ludoteca e insomma...

"Questa settimana abbiamo un sacco di verifiche", sentì Mattia, alle sue spalle.

"Mattì, ma è possibile che non pensi ad altro..." si lagnò, sollevando la testa e sbadigliando in modo sgraziato.

"Eh ora si comincia..." commentò Alberto. Francesco si tirò su, voltandosi verso i ragazzi che s'erano riuniti a parlare alle sue spalle. Mattia, che a vederlo sembrava il più grande, dissimulava la sua aria da secchione: i capelli sempre freschi di taglio, pareva andasse dal barbiere ogni settimana, imitava lo stile dei capelli del fratello maggiore, agli ultimi anni delle superiori, l'aveva visto più volte, a casa sua, ma anche a scuola, ai colloqui, era capitato se lo portassero dietro, i genitori. Aveva i capelli di diverse sfumature di biondo, i ricciolini sul davanti più chiari, poi andavano scurendosi sui lati. Dietro gli occhiali dalla montatura leggera mostrava dei comuni occhi marroni, e una vistosa cicatrice che gli sfregiava appena il sopracciglio, che gli dava un'aria da duro, anche se era un danno risalente a quando aveva quattro anni. Un episodio che aveva raccontato un mucchio di volte, ma quella mattina, mentre si voltava e posava gli occhi addosso all'amico, fu come folgorato da quella rivelazione.

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