8. Aspettative

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[Francesco]

Era arrivato a casa di pessimo umore.

I messaggi criptici di suo padre non l'avevano rassicurato. Temeva seriamente di essersi immolato inutilmente, di essersi offerto a una sculacciata senza poterci guadagnare nulla. Che senso aveva, altrimenti? Ma non poteva mica dirlo ai suoi genitori. E i ragazzi insistevano, ma sei sicuro che possiamo venire domani pomeriggio? Gli dava fastidio tutto quel parlarne, continuare a ricordargli che doveva esser punito per il brutto voto. Certo, i suoi compagni volevano conferma, altrimenti si sarebbero organizzati in altro modo... senza di lui. E questo gli bruciava ancora di più. A quel punto, aveva semplicemente scelto di mentire: suo padre, al quale aveva scritto più volte (e Gianluca poteva confermare), gli aveva finalmente dato il permesso.

Solo quando s'era incamminato verso casa aveva realizzato di aver peggiorato le cose. Se sua madre glielo avesse negato, il permesso, se suo padre l'avesse punito, sculacciato, lasciandolo poi amareggiato, al punto da non voler più invitare i suoi amici... come poteva, a quel punto, rimangiarsi la parola.

Era andato tutto storto, tutta la mattinata sottosopra, a partire da quella maledetta interrogazione non prevista.

Come se non bastasse, aveva messo totalmente da parte un aspetto poi affatto secondario, col quale presto o tardi avrebbe dovuto fare i conti. Doveva prepararsi psicologicamente alla sculacciata.

S'era buttato a capofitto nell'idea di prenderle, come merce di scambio, da non pensare minimamente all'esperienza da subire, e ai suoi effetti. La sua prima sculacciata... era stata imbarazzante, e pure un po' dolorosa, gli erano venute le lacrime agli occhi. E suo padre gliel'aveva data come... dimostrazione, a ben vedere. Sì, aveva preso la nota per aver copiato... ma era stata la prima. E se ora ci andava giù pesante? La prima volta s'era trattenuto, ma davvero era stato così sciocco?

"Sono a casa, ma'", aveva detto, aprendo la porta, entrando in casa. L'aveva spinta dietro di sé, sperando di chiuder fuori anche tutti i suoi cattivi pensieri.

"Sono in cucina", aveva risposto da lontano sua madre. Poteva sentire la TV in sottofondo, rumori tipici da cucina, pentole, posate, mestoli... "Vedi che è quasi pronto, perché ci hai messo tanto?"

Perché aveva camminato piano, preso dai suoi pensieri, e col pilota automatico in testa a un certo punto aveva tirato dritto anziché girare, allungando così il tragitto.

"Niente, mi sono trattenuto a parlare", spiegò, togliendosi le scarpe. Lasciò ricadere lo zaino, andando dritto verso la sua camera, ma poi ripensò a sua madre, i rimproveri, tornò indietro e recuperò scarpe e zaino, se voleva invitare i ragazzi doveva stare attento a ogni dettaglio, sì, era stufo di sforzarsi, ma per quel pomeriggio poteva farcela, doveva resistere, e poi... poi l'attendeva la sculacciata. E una notte di sonno agitato, di nuovo. Questa volta, peggiorata dal calore intenso al sedere. La prima notte, continuava a girarsi sulla schiena, poi si svegliava infastidito, e si rigirava. Che tortura.

Andò in camera, portando scarpe e zaino con sé, fu deluso di trovare il disordine che aveva lasciato la mattina. Spesso, rincasando prima di lui, sua madre passava in camera, gli rifaceva il letto, metteva a posto. Ma immaginò che se non l'aveva fatto non era perché non aveva avuto tempo, ma per punirlo del quattro. Scocciato, ma determinato a spuntarla, mise in ordine alla meglio: alzò la serranda, tirò le coperte del letto, spinse scarpe e calzini spaiati sotto il letto, lo zaino sotto la scrivania, del resto non gli importava. S'affrettò poi ad andare in bagno, prima di andare in cucina.

Tanto per cambiare: pasta col pomodoro. Non si lamentò, e mangiò calmo e muto, spinto comunque dalla fame. A ricreazione aveva avuto lo stomaco così chiuso da non voler mangiare nulla.

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