[Papà Saverio]
"E' ora di mettere a posto ogni cosa", aveva mormorato, mentre raccoglieva gli oggetti che suo figlio aveva lasciato sul divano – una felpa rossa col cappuccio, chissà perché, un pacchetto di plastica con briciole di biscotti, e un paio di fumetti, quelli giapponesi, in bianco e nero, che si leggono al contrario, tutto lotta, arti marziali, sangue e frasi profonde e filosofiche, che tanto sembravano piacergli – segno inequivocabile del suo passaggio in sala. La routine del sabato mattina: Maria si metteva a svolgere un po' di faccende di casa, cominciando dal bagno, non appena Saverio fosse uscito dalla doccia, e svegliando Francesco, che aveva il letto proprio alla parete attigua alla vasca con doccia. Svegliato prematuramente, suo figlio, dopo aver lottato per restare a letto, riconosceva la sconfitta, mentre dalla cucina proveniva una sinfonia di batteria e pentolame, se non, ancora peggio, l'aspirapolvere in corridoio, e si spostava nel salone, per sonnecchiare sul divano, leggere un fumetto, consumare la colazione disseminando briciole dappertutto, oppure cazzeggiare col telefonino.
"Che dici, Saverio? Non ti sento", aveva urlato sua moglie, sopraggiungendo alle sue spalle con quell'infernale affare, l'aspirapolvere della Dyson. Roba che nemmeno nelle pubblicità statunitense anni Cinquanta. Un'epoca in cui, be'... le mamme passavano l'aspirapolvere, decoravano torte... e i papà fustigavano i sederi dei figli scapestrati con la vecchia cinghia. Non che avesse mai conosciuto quell'epoca, anzi, erano stati i suoi genitori a conoscerla, nella versione stemperata, parodistica, che era venuta fuori quando la società italianava aveva provato a scimmiottare e adattare l'american way of life. Gli autentici boomer, categoria che per Francesco e i suoi coetanei sembrava riunire chiunque non si radesse la barba ogni giorno e si fosse ritrovato i peli tra le chiappe, erano proprio i nonni di suo figlio.
I suoi genitori... non erano perfettamente aderenti allo stereotipo. Sua madre, per dire, a un certo punto s'era messa a lavorare, poco dopo aver fatto figli. Ma quell'esperienza, quell'illusione, accecante, di autonomia economica, l'aveva convinta piuttosto del contrario, e così, a settant'anni, nella sua visione distorta e sottosopra del mondo, rimpiangeva di non esser stata in casa a godersi la maternità. Suo padre, be'... era un po' lo stereotipo del breadwinner. Anche se la mamma lavorava, suo padre si riteneva l'unico a portare la pagnotta in casa. Quasi il lavoro della mamma, segretaria di uno studio di avvocati, per tutta la vita, fosse stato nulla di più di un semplice hobby. E dire che per quel lavoro, usurante, monotono, quasi l'aveva spinta verso la depressione. Per suo padre, invece, i mali venivano da ogni parte, meno che dal lavoro. E soprattutto, li causava lui, quando aveva raggiunto la pubertà. E ceffoni, raramente sculaccioni, perché per suo padre lo schiaffo educativo doveva esser esibito in pieno volto, come una medaglia, e non nascosto sotto i pantaloni, non mancavano mai.
L'educazione ricevuta dai suoi genitori, mai biasimati – erano figli del loro tempo, come non poteva biasimare le maestre che lo riprendevano con tirate d'orecchi in classe, che lo punivano mettendolo all'angolo, dietro la lavagna, tutte pratiche che, pochi decenni più tardi, quelle maestre avrebbero bandito, magari senza più rimpiangerle, salvo qualche isolata eccezione – costituiva comunque un modello dal quale allontanarsi. Per questo, anche se Maria condivideva la sua esperienza giovanile, era convenuto fosse opportuno adeguarsi ai tempi e alle pressioni della società, punizioni, sì, nei termini di sottrazioni e rinunce, nulla di più. Eppure... eppure, s'era arreso. Ed era tornato indietro, ai cari vecchi sistemi. Con la convinzione che quell'antico rimedio, la sculacciata, l'avrebbe usato nel migliore dei modi, quasi a dimostrare ai propri genitori che sì, era possibile includere gli sculaccioni nell'educazione dei figli, dosandoli insieme ad altre pratiche, senza esagerare, senza rischiare di esser violenti, ciechi, rigidi.
Non era facile, però. E con Francesco aveva presto sbagliato, perso la pazienza, e la testa. E ora... ora era tempo di rimettere ogni cosa a posto.
"Dicevo che devo mettere a posto le cose", spiegò, alzando la voce per farsi sentire, mentre si gettava sulla spalla la felpa, e teneva in una mano le due copie di fumetti e il pacchetto di plastica ormai vuoto, le briciole che scivolavano per terra, tanto Maria sarebbe passata con l'aspirapolvere.
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L'antico rimedio
General FictionItalia, oggi. Una tipica famiglia: Saverio, papà spesso assente per lavoro, mamma Maria, armata di buone intenzioni e preoccupazioni, e Francesco, tredici anni all'inizio della terza media. Tra discussioni, conflitti tra genitori e figli, guai a scu...