🦚🦜Capitolo sette

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🦚𝐀𝐭𝐡𝐞𝐧𝐚

Non ci credo che è venuto allo sbaraglio.

Senza un posto dove dormire, abbandonato a sé stesso. È spudorato e impulsivo a volte, ma non così tanto. O meglio, spero per lui e per me.

Se fosse tanto stolto allora non sopravvivrà qui, con i miei compagni che lo tengono d'occhio, e a me toccherà salvarlo. Per pietà.

Anche se insieme abbiamo superato cose peggiori. E quando dico insieme, voglio dire con la squadra.

Comunque è rimasto a dormire sul divano.

È mattina presto e sto sistemando i miei vestiti, dopotutto anche io sono qui da non molto e tra lavoro da fare, addestramento e lui non ho avuto molto tempo di sistemare.

Anche se sento qualcosa che non mi convince.

Mi sento come osservata.

Mi guardo intorno, la stanza con una parete verde smeraldo e altre di legno scuro. Il divanetto beige è pieno di magliette come il letto riempito di cuscini, le liane finte sul muro sembrano apposto come i disegni e i miei dipinti.

Allora cos'è che non mi quadra?

Perché se io sento qualcosa. Non sbaglio mai.

Rovisto nella valigia aperta sul pavimento sul tappeto bianco, poi sul mucchio di vestiti sul divanetto.

Mi si gela il sangue. Non posso crederci.

Prendo in mano la maglia verde scuro, stringendola talmente tanto che quasi la strappo a brandelli. Le guance bruciano e il respiro accelera leggermente.

Lo uccido.

Spalanco la porta della mia stanza e vado al piano di sotto, lo vedo svaccato sul divano con la bocca spalancata mentre russa leggermente.

Tiro un calcio al divano talmente forte che per poco non cade dallo spavento, ben gli sta.

"Aiuto! Athena! Sono tornati i cavernicoli! Oh, sei tu" si stropiccia gli occhi, fissa il vuoto per un istante. Realizza. "Ma che cazzo fai!"

Gli tiro la maglietta in faccia e vado in cucina, perché potrei ucciderlo eppure una parte di me non vorrebbe, quindi cerco di calmarmi.

"Mi spieghi che ti prende?" Mi raggiunge, con la maglietta in mano e i capelli spettinati.

È carino.

"Come hai potuto?" Sibilo. "Che cosa avessi paura che facessi?"

"Chi? Tu? Niente! Di cosa stai parlando?" Davvero non capisce.

Istintivamente prendo la maglietta che ha in mano.

E strappo il microchip nascosto sbattendoglielo in faccia.

"Ecco di cosa sto parlando." Lo fulmino con lo sguardo a dir poco, le sue guance sono leggermente rosse.

È così carino, maledizione, e confuso e pentito e non so che altro e io lo odio, odio questa mia attuale confusione.

Emetto un gemito di frustrazione e mi allontano.

"Uhm, Athena, io..."

"Perché mi spiavi? Che hai visto? Sei un depravato!"

"No, no, no. Aspetta..." si avvicina, con l'oggetto in mano. Piccolo e nero. "Non c'è una telecamera, serviva solo per capire dove trovarti!"

Ha ragione, non ho controllato.

Altro errore. Insolito.

"Perché sei qui?"

Ora lo fisso, intensamente. Per qualche lungo ed intenso istante, non ho pensieri ortodossi.

Legatus, la novella di 𝐀𝐥𝐞𝐱 𝐞 𝐀𝐭𝐡𝐞𝐧𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora