24 LOGAN.

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L'hangover è una delle più brutte sensazioni che si possa provare, una condizione che ti lascia immerso in una nebbia di confusione totale. Appena apri gli occhi, il mondo intorno a te è un enigma indefinito: non capisci un cazzo. 

Non sai dove ti trovi né, tanto meno, riesci a ricordare cosa sia successo la notte prima, se non in frammenti caotici e sfuggenti.

Ti svegli sudato, avvolto in una totale crisi d'identità mentre la tua testa pulsa con un dolore insopportabile, come se stesse per esplodere.

L'unica cosa di cui sei certo è che hai bisogno di acqua.

Tanta acqua.

Molta acqua.

Provo a sedermi sul letto, ma una fitta profonda e lancinante allo stomaco mi costringe a rimettermi sdraiato.

Il dolore mi riporta alla memoria il calcio che ho ricevuto nella pancia, come se stessi rivivendo quell'istante per la seconda volta.

Cazzo, al night ho fatto a cazzotti e me le hanno pure suonate.

Con questa amara consapevolezza, tento nuovamente di alzarmi e, con estrema cautela, ci riesco. Mi dirigo verso il bagno, ogni passo un'impresa, appoggiandomi con le braccia al lavandino come fosse un'àncora di salvezza, cercando un punto fermo che mi dia stabilità.

Alzo la testa e mi vedo riflesso nello specchio: sono uno straccio. 

l labbro inferiore è spaccato in due e un livido violaceo circonda il mio occhio destro, testimoniando la notte di caos e violenza appena passata.

«Porca puttana Logan, stai di merda!»

La mia voce rimbomba nel silenzio del bagno, un'eco che mi risuona nella testa martoriata. Distolgo lo sguardo da quell'immagine riflessa, che sembra appartenere a un estraneo, e caccio fuori un sospiro profondo, carico di frustrazione e disillusione.

Poi, d'un tratto, il ricordo di lei nella mia camera mi assale: è lì, di fronte a me, sussurra il mio nome con un tono quasi dispiaciuto, i suoi occhi leggermente intimoriti da ciò che vede. 

La fitta che raggiunge il mio cuore, in quell'istante, è più dolorosa del labbro spaccato e del calcio nello stomaco.

Ricordo cosa è successo, cosa le ho detto.

E quasi mi maledico perché quando non riesci a toglierti dalla testa una persona, di sicuro c'è una buona ragione.

Ma i miei pensieri non vogliono trattenere nessuno.

Vallo a spiegare a quel cazzo di cuore.

«Maledizione!» digrigno i denti serrando la mascella in una morsa feroce.

Rivolgo un'ulteriore occhiata all'immagine riflessa nello specchio, sperando di trovare qualche frammento di me, qualche segno che mi ricordi chi sono.

Nulla.

Di ciò che ho costruito, di ciò che ho cercato di essere, non c'è traccia in questo dannato riflesso.

Porca troia! 

Devo allontanarla, il prima possibile.

Non voglio rimanere incastrato in qualcosa che non riuscirei a gestire. Non posso permettermi di darle speranze e sogni che non potrò mai realizzare.

Nemmeno svestirmi dell'armatura che mi protegge: ho sofferto troppo, ho costruito questo muro intorno a me per una ragione, e non ho intenzione di abbatterlo, non posso permettermi di sentirmi nuovamente debole, vulnerabile, senza controllo.

Devi mantenere delle distanze belle e buone.

Tutti i miei pensieri calano a picco quando sento la porta aprirsi di botto e la voce incazzata di Dylan che urla: «LOGAN! Esca immediatamente da quel maledetto cesso, dobbiamo parlare! SUBITO». 

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