26 LOGAN.

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Sono chiuso in questa stanza da quando ho aperto gli occhi, qualche ora fa.

Le pareti sembrano stringersi, avvicinandosi a me come un abbraccio soffocante. Ogni respiro è un peso, ogni minuto sembra un'eternità. Il pensiero di incontrare Liv, di sotto, mi agita: non saprei come comportarmi dopo questa notte, specialmente dopo quello che le ho detto.

Come cazzo mi è venuto in mente?

Vivo le mie relazioni come un basilare bisogno fisiologico: in queste situazioni, l'unica cosa che ci metto è solo l'uccello, niente di più. Ma con lei sembra tutto diverso: non l'ho sfiorata, quindi, dovrebbe essere naturale per me fingere di non averle detto niente, invece, anche solo l'idea di mentire, mi tartassa.

Con le cuffie alle orecchie, ascolto della musica cercando di distrarmi il più possibile e di non pensare. Ogni nota sembra un'ancora a cui aggrapparmi, ma la mente non vuole lasciarsi cullare.

Il cellulare vibra, interrompendo quella fragile tregua: è Matt.

La luce del display illumina il mio volto segnato dai postumi della sbronza.


«Sei vivo?»

Ha ragione: non mi sono fatto più sentire.

«Sono stato impegnato... Ti aspetto sabato?» 

Digito velocemente la risposta, sperando che accetti l'invito e mi raggiunga: devo assolutamente parlare con lui, questo incontro mi serve come l'aria, la stessa aria che, in questo momento, sento mancare.


«Sento puzza di problemi, Log. Sabato sarò lì...»


La sua risposta arriva quasi immediatamente, come se avesse percepito la mia disperazione.


«Non vedo l'ora. A sabato Matt...» 


Le mie parole trasudano ansia, lo so, e anche Matt lo percepisce.

Mi conosce troppo bene.

È il momento di chiudere fuori il mondo e mettere in pausa il cervello, quindi, mi spoglio dell'unico indumento che indosso, i boxer, e mi fiondo sotto il getto di acqua fredda che pare marmata. Il freddo gelido mi sveglia, mi scuote. Lo sento scivolare sulla pelle, portando via con sé un po' della mia angoscia. Trovo finalmente il giusto equilibrio, il freddo mi riporta a me stesso.

Socchiudo le palpebre e appoggio la fronte alle mattonelle della doccia. Il rimbombo dell'acqua che cade sembra un battito cardiaco regolare, un ritmo cadenzato e rassicurante in mezzo al caos interiore. Chiudo gli occhi e lascio che le gocce scivolino su di me, sperando che possano portare con sé almeno una parte del tormento che mi assilla.

Sento il peso dei pensieri scivolare via, ma solo per un istante, prima di sentire la sua voce rimbombare nella testa.

«Logan...» 

Mi perseguita, dolce e tagliente.

No, dannazione!  

Impreco a voce alta ma l'unica fottuta cosa che continuo a vedere sono i suoi occhi azzurri che mi chiamano. 

Mostriciattolo è di fronte a me, adesso: le mie braccia tese accanto a lei che la imprigionano tra il mio corpo e le mattonelle. I capelli bagnati le ricadono sui seni estremamente sodi e dritti che mi provocano una fitta improvvisa verso le mie parti basse. Le sue labbra rosse e consumate dai baci che ci siamo dati fino a poco prima, pronunciano il mio nome.

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