Figli del deserto

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Corpo agile e scattante, pelle ambrata e liscia come la seta, labbra carnose e denti color avorio, questa era Imohar. Tuttavia la sua peculiarità erano gli occhi d'un azzurro intenso, questi facevano di lei una donna bellissima e gli uomini ci perdevano la bava dietro. Ma lei aveva come compagna solo la sua lancia e non la tradiva mai. Lancia che sapeva usare con maestria e con essa aveva ucciso il Glup insediatosi nelle acque dell'oasi dove il suo popolo si era accampato. A dirla tutta era stata costretta e per tale motivo era diventata la regina dei figli del deserto.

Gli aradmini chiamavano Glup i vermi custode che occupavano le oasi abbastanza capienti da contenere la loro enorme massa. Una presenza necessaria, in quanto, al girare in lungo e in largo con le loro enormi bocche spalancate, i vermi custode filtravano le acque e le tenevano sempre pulite. Ma avevano un brutto vizio, divoravano chiunque si avvicinasse troppo alle rive; il motivo per il quale avevano dato loro l'appellativo con cui li chiamavano, in quanto il verso emesso da quelle bestie, dopo aver ingoiato una vittima, era un sonoro: Glup.

L'acqua era il bene più prezioso e la poca veniva tenuta in ostaggio da quei mostri. Ragion per cui erano costretti a sopprimerli onde salvaguardare la loro sopravvivenza, in tutti i sensi. Le oasi garantivano, a chi aveva scelto come casa in cui vivere il deserto, acqua da bere e cibo a volontà: dalle piante con i loro dolci frutti, agli enormi granchi del cocco di cui si nutrivano per evitare di uccidere le capre, le quali davano loro il latte.

Tuttavia, senza più un verme custode a filtrare le acque delle oasi, queste, a seconda della loro grandezza, si intorbidivano con il diventare imbevibili. Per cui dovevano spostarsi per trovarne un'altra e di solito speravano di incappare in una abbastanza grande, così da evitare di doversi rispostare ancor prima di sistemarsi. E se il Glup iniziava a essere troppo vorace, lo abbattevano e il compito spettava al capo tribù, cioè a Imohar, la neo regina.

Il velario dove Imohar risiedeva si trovava arroccato sulla duna più alta e da lassù poteva osservare l'accampamento srotolarsi sotto di lei a perdita d'occhio. Migliaia di velari di varia foggia e grandezza abitati dai suoi sudditi: i figli del deserto. Si era alzata presto per accompagnare l'avanzare lento dei raggi di un magnifico Sole nascente. Questi allontanavano delicati, ma con fermezza risoluta, la notte. Essi si facevano dappresso prepotenti tra le dune ancora ammantate dall'oscurità e cambiavano aspetto al minimo alito di vento con l'assumere un volto sempre nuovo e unico. Ammirare l'arrivo dell'alba da quella posizione privilegiata, come anche il tramonto. era uno spettacolo da togliere il fiato. Ma solo chi sapeva dove guardare e conosceva i ritmi del deserto, poteva apprezzare appieno quanto lui donava a piene mani.

Imohar iniziò a tremare. Il Sole tardava a salire e il freddo della notte si faceva ancora sentire. Le temperature nel deserto si abbassavano di molto di notte e in alcune zone a volte l'acqua congelava. Nondimeno proprio di notte il deserto dava il meglio di sé e bastava alzare lo sguardo al cielo per rendersene conto. Migliaia di stelle lo ammantavano come in nessun altro luogo. Il loro splendore lasciava esterrefatti e, se ti fermavi per un po' con il naso all'insù, se eri fortunato potevi vederle cadere giù dal cielo, a centinaia. Non solo questo regalava il deserto, molto altro ancora, a lasciare la meraviglia negli occhi di chi decideva di stabilirsi e viverci. Però solo se si imparava ad amarlo e rispettarlo senza riserve, si diventava a pieno titolo un figlio del deserto.

Paga dello spettacolo mattutino, Imohar rientrò e, sdraiatasi su alcuni cuscini, rifletteva su quanto le era stato detto da un uomo con una lunga barba bianca nel sogno avuto durante la notte. Il motivo per cui si era svegliata prima dell'alba, anche se il principale andava addebitato al giaciglio: ricavato dalla pelle essiccata dei Glup, all'interno veniva imbottito con lana di pecora per renderlo soffice. Ma tale morbidezza durava giusto il tempo di stendersi sopra e poco dopo il giaciglio diventava duro, freddo e scomodo: se si fosse distesa sulla sabbia, non avrebbe patito così tanto. Per cui aveva scelto di sdraiarsi sui cuscini e ora, con gli occhi chiusi, ripassava con la mente lucida ogni momento saliente. Un'esperienza mai vissuta prima e lei ne aveva fatti di sogni assurdi, ma mai come questo. Le sensazioni provate durante il colloquio con quel vecchio erano state simili a quelle della veglia. Aveva percepito gli odori, sentito sulla pelle il caldo e il freddo, ma soprattutto il dolore: il vecchio le aveva stretto la mano con forza e la sentiva ancora indolenzita.

Saga Eternity - Volume Secondo: Le due regine - © In revisioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora