Ultimi giorni 24

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Raggiunsi uno dei posti in cui avevo incontrato i bambini che si chiamavano come i tre demoni. La città, immersa nel silenzio e nell'oscurità, mi creava un'angoscia profonda: temevo ogni angolo, ero ben conscio che in un'imboscata non ne sarei uscito vivo. Procedevo lento, pesando ogni passo. Il cielo sereno aveva restituito le stelle, ma non riuscivo a gioire di quel risultato, la pace pareva inarrivabile. Mi sarebbe piaciuto sdraiarmi sull'erba e lasciarmi cullare dal vento, mentre quelle luci lontane mi ispiravano canzoni e viaggi verso mondi da esplorare.

Mi fermai davanti a una porta, posai la mano sulla maniglia con poca convinzione: non era chiusa a chiave, aprii la porta ed entrai, chiudendomi la porta dietro le spalle. Fui scaraventato in un buio più intenso e desolato, aspettai che gli occhi si abituassero. L'interno della casa pareva il risultato di un terremoto: tutto disordinato, molte cose sparse sul pavimento. Attraversare le stanze senza fare rumore appariva un'impresa titanica. Muovendomi il più lentamente possibile, soppesando ogni passo, girai per le camere, controllando che non ci fossero pericoli. Se avessi svegliato gli occupanti, di sicuro tutto il quartiere, se non l'intera città, mi sarebbe stato addosso in pochi minuti. Vidi due bambini che dormivano tranquilli sui rispettivi letti e lì, sereni e immobili, parevano angeli, un ricordo di una vita scomparsa in un istante. Nessuno avrebbe potuto sostenere che quelli fossero ormai strumenti di dei del male e che, se avessero aperto gli occhi, mi avrebbero fatto a brandelli, urlando e ridendo, brindando con il mio sangue. Non mi pareva ci fossero adulti, ma con quel buio mi sarei potuto sbagliare, quindi decisi di non perdere tempo e, una volta trovata la cucina, iniziai a controllare cosa ci fosse di commestibile. Posai lo zaino aperto sul tavolo, ma forse non sarebbe bastato: quel posto pareva non aver conosciuto alcuna crisi, pieno di ogni genere di cibo e bevande. Cercai una borsa e trovai solo una busta. Mi avrebbe rallentato ma non me la sentivo di lasciare troppa roba, volevo prendere tutto ciò che potevo, a costo di spaccarmi la schiena dal peso. Passai diversi minuti a riempire lo zaino, nella maniera più silenziosa possibile, tanto la notte sarebbe stata lunga, avrei avuto tutto il tempo. Sperando che nessuno si alzasse per bere o per andare in bagno.

Ero talmente concentrato nell'incastrare quegli oggetti dentro le borse, che non controllavo l'ora, che non mi guardavo intorno, guardingo. Tutto quel ben di dio mi aveva reso troppo sicuro e troppo distratto. Pensavo al mio viaggio nel deserto, alla ricerca del palazzo rosso fuoco, e mi pareva un'impresa facile, con le borse cariche di acqua e di viveri. Una svolta positiva, avrei raggiunto il mio obiettivo non stanco e provato e con le forze al minimo, bensì in salute, pronto alla lotta. Lucido e forte: l'eroe che sconfigge gli dei del male e libera il mondo, acclamato in mille canzoni. Mentre i miei pensieri volavano e un leggero sorriso increspava le mie labbra, una mano afferrò con forza la mia caviglia destra. Neanche il tempo di rendermi conto del pericolo, che un'altra mano bloccò la mia caviglia sinistra. Preso dal panico, voltai leggermente il capo per vedere cosa stesse succedendo: un corpo senza gambe, steso per terra, mi serrava con forza, impedendomi qualsiasi movimento. Non riuscivo a scrutare il viso del mio assalitore, solo i lunghi capelli neri. Era riuscito a strisciare silenziosamente, senza farmi sentire nulla, sbucando da chissà dove, intrappolandomi. Mi girai, riflettendo alla velocità della luce su come uscire da quella situazione mortale, ritrovandomi di fronte a un altro essere in piedi davanti a me. Anche lui era spuntato dal nulla, cogliendomi di sorpresa, tanto che non ebbi neanche il tempo di provare terrore. Aveva un volto deforme, con una bocca aperta e circolare. Pareva dotato di centinaia di denti, di tutte le misure: un tunnel dell'orrore, oscuro e doloroso. Cercai di tenerlo lontano, stringendo il suo collo con la mano sinistra, mentre riflettevo su come uscire da quella situazione disperata. Lui muoveva le braccia, provando a liberarsi dalla presa, fortunatamente senza emettere suoni. La mia paura era che l'essere che mi bloccava le gambe potesse mordermi, facendomi perdere la forza, rendendomi vulnerabile e prossimo alla sconfitta. Infilai velocemente la mano destra in tasca, estraendo il coltello che conficcai con tutta la forza che avevo in quella bocca demoniaca, causando un urlo stridulo a volume elevatissimo. Sussultai, preconizzando la mia fine. Ripresi il coltello tirando, l'essere si accasciò tremando: un effetto inquietante che sarebbe bastato a portare qualsiasi uomo alla follia. Ma non a me, nel culmine dell'agitazione, intento solo a salvarmi e a fuggire. Pugnalai sul collo anche la cosa che mi bloccava. Anch'esso iniziò a urlare con voce strozzata e acuta, sussultando sul pavimento. Ero completamente sudato. Posai il coltello sporco di sangue e altro nella tasca, lo avrei pulito successivamente, se mai avessi superato quella notte maledetta, che aveva l'obiettivo di riempirmi di provviste e si stava trasformando in una sfida quasi impossibile alla sopravvivenza.

Iniziavo a sentire rumori in casa, i bimbi si stavano svegliando. I piccoli Remlah, Ifid e Syushan. Lasciare tutta quella roba mi causava dispiacere e avrebbe reso il mio viaggio verso il palazzo degli dei molto più difficile, ai limiti dell'impraticabile. Però, purtroppo, era l'unica scelta possibile per non farsi ammazzare. Così, presi velocemente lo zaino e lasciai le altre buste con somma tristezza. Ormai incurante del rumore, attraversai le stanze correndo e uscii in strada. Il trambusto si rincorreva ovunque, segno che le urla, come una sveglia che nessuno spegneva, erano state in grado di risvegliare l'intero quartiere. Il buio mi aiutava, percepivo movimenti affrettati, tanti passi che si univano ai miei, la paura, la necessità di non guardare, di non incrociare gli occhi con nessuno. Il buio mi nascondeva, rendendomi possibile fuggire, allontanarmi da quella città di morte, piena di esseri comandati da dei crudeli che avrebbero continuato a cercarmi per giorni. Le persone che mi avevano ospitato erano al sicuro? Non sapevo se li avrebbero risparmiati oppure, la furia nata dall'impossibilità di trovarmi, si sarebbe sfogata su di loro, asserragliati in casa.

Con la zaino pieno di provviste, ma molto più leggero di quanto avessi sperato; con le gambe stanche, che si muovevano a fatica, quasi per inerzia; con i pensieri che non mi davano tregua, provando e riprovando a ricordare. Con tutto questo iniziai a dirigermi verso il deserto, un viaggio lungo e complicato, con poche probabilità di successo, date le mie condizioni fisiche al limite del crollo. Dovevo ricordare il mio nome, la mia storia. Verso ovest, se il palazzo qui sulla Terra era simile a quello sul loro pianeta, non avrei avuto problemi a trovarlo: immenso, rosso fuoco. Sarebbe stato un faro davanti a me, facilmente individuabile e raggiungibile, nessun rischio di perdersi.

Avanti, un passo alla volta, aspettando il giorno che, nelle mie convinzioni, avrebbe rappresentato la salvezza, la sopravvivenza a quella notte.

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