3- A stranger whose laugh i could recognize

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Riuscivo solo ad odiarti per ciò che mi

facevi provare. Per quanto geloso e pazzo;calmo e in pace con me stesso mi facevisentire.AUTRICE

R A P H A E L

LA guardai mentre si allontanava dopo avermi mormorato nulla di più di un "ciao" frettoloso. Mi aveva lasciato lì come uno scemo, ancora paralizzato dalla sua risata, la quale mi aveva fatto mancare il respiro. Era così raro sentire una risata genuina, anche se stava ridendo di me. Le persone di solito si limitavano a risate false o nervose in mia presenza; le ragazze a risolini che non facevano altro che nascondere il loro desiderio di entrare nel mio letto. Lei no. Lei aveva fatto una risata genuina e aperta, persino piegandosi su se stessa. E sapere che la causa di quella risata ero io mi aveva fatto sentire sorprendentemente bene.

Sentii il telefono vibrarmi in tasca distogliendomi dai miei pensieri. Quando lo presi in mano e controllai i messaggi dovetti fare un respiro profondo. Dovevo sbrigarmi oppure sarei arrivato in ritardo alla lezione di filosofia. I miei occhi saettarono di nuovo nella direzione dove lei era scomparsa per partecipare alla sua lezione.

Quello stupido sorriso. Quella risata. Mi si erano stampate in testa, nella memoria, come un marchio a fuoco. Non riuscivo nemmeno a pensarci alla lezione a cui dovevo partecipare, per essere onesti.

Digitai una risposta veloce e secca: "Oggi non vengo. Non ho la mente libera." prima di chiudere il telefono e incamminarmi tra i corridoi; se non fosse che stava piovendo sarei uscito a prendere un po' di aria per respirare un attimo.

Per tutto il tempo non feci altro che massaggiarmi le tempie. Non riuscivo a capire cosa diavolo mi prendesse. Non sapevo nemmeno il suo nome. Ma di fatto il nome non era poi così importante. Se avessi davvero voluto sapere il suo nome avrebbe voluto dire che era importante per me. Ma lei non lo è. È una ragazza conosciuta per caso. Una ragazza che non si è risparmiata di chiamarmi stronzo. Una ragazza che vuole mantenermi distante, e normalmente non mi farei alcun problema a starle lontano, ma non c'era nulla di normale in quel momento o in qualsiasi momento nel quale i miei occhi si posavano su di lei e lei se ne scappava via come se ne dipendesse la sua vita. La vedevo evitare i miei sguardi, le mie attenzioni o anche solo la mia presenza; nulla che io avessi mai sperimentato prima e che mi stava mandando in fuori di testa.


  IL cibo rimase nel mio vassoio, intoccato. I miei occhi fissi su un punto ben oltre i corpi dei miei compagni di corso, ben oltre la loro conversazione, concentrati su di lei. La studiavo attentamente cogliendo anche il più minuscolo movimento dei suoi capelli biondo scuro, i quali mi resi conto solo in quel momento che erano raccolti con un mollettone in modo terribilmente disordinato con alcune ciocche frontali leggermente mosse che le ricadevano sulle guance. Le guance che si sollevavano ogni volta che le sue labbra si distendevano in un sorriso, per qualcosa che la sua amica diceva, formando pure una fossetta. Quel sorriso mi faceva qualcosa. Ogni volta che la vedevo sorridere sentivo le labbra provare a curvarsi a loro volta. Serrai la mandibola in rifiuto. Non mi interessava chi diavolo era lei o l'effetto che quel suo sorriso o che quella sua risata genuina avevano su di me, non mi sarei lasciato andare.

Sentii uno dei miei compagni schiarirsi la gola per attirare la mia attenzione. I miei occhi si posarono su di lui e quella orrenda camicia a quadri marrone e nera che aveva addosso. ‹Quindi? Tu verrai alla festa al dormitorio questo weekend? La organizza Sean Jeon› mi disse in tono pacato. Io alzai un sopracciglio. ‹Una festa? Ti sembro un tipo da feste?› chiesi freddo facendolo bloccare. Vidi il suo pomo d'Adamo abbassarsi quando deglutì a disagio. Nessuno parlò più al tavolo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 17 ⏰

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