IX

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"Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire."
-George Orwell

Cyn'ra - 22/01/193 d

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Cyn'ra - 22/01/193 d. C.

Il legionario si guarda attorno con circospezione: prima di incontrare i miei, gli occhi color smeraldo errano per i sentieri del giardino cercando quelli di Commodo.
Lo spazio che ci separa è così carico di tensione che, se allungassi una mano, potrei toccarlo per scoprirne la consistenza. Metallo fuso che entra nelle narici e mi provoca respiri strozzati, dolorosi sussulti.

Il petto trema sotto la corazza di tessuto cangiante: sono spaventata, ma inverosimilmente attratta dalle parole che stanno per sgorgare dal legionario.

Che siano la verità? Ne dubito, ma voglio sapere.

"Lo so perché gliel'ho insegnato io."

Il mio capo scatta in avanti, gli occhi si spalancano così tanto che le palpebre sembrano sparire, le labbra tremano mentre la terra scompare, sento un battito d'ali nel buio della notte prima di iniziare a precipitare nella voragine apertasi sotto di me.

Claudio annuisce brevemente. Scuoto la testa torturandomi le mani, incredula.

"Tu menti. Vuoi che ritorni da te e lo stai facendo con la più vile delle bugie. Fuggi in Britannia, prima che sia troppo tardi."

Ancora vittima di quella forza che mi attrae verso il basso, con uno scatto fulmineo lo supero urtandogli la spalla; i piedi volano a qualche digitus da terra mentre la mia mente farnetica nella più completa confusione. Una parte di me vorrebbe credergli: si sta aggrappando disperatamente a quel brandello di informazione usandola come armatura per proteggersi.

L'Imperatore mi aspetta in cima alle scale con le braccia conserte, le luci della sala si stagliano contro la sua figura rendendomi impossibile cercare di decifrare la sua espressione.
Posso solo scorgere gli occhi regali ardere dall'impazienza: il suo oceano si sta prosciugando, scoprendo ciò che quel vasto mare color cobalto ha tenuto nascosto per tutta la serata.

"Il suo nome era Nechtan, quello di tua madre Aìfe. Lei è morta di parto e tuo padre è stato costretto a crescerti da solo."

Le gambe si arrestano, ora incollate a un suolo troppo reale per essere un artefatto della mia mente. La voce del soldato è come una pugnalata alla schiena: fulminea e dolorosa.

Fiaccata da quella rivelazione, mi volto. Una folata di vento m'investe spingendomi verso Claudio che, giratosi, mi fronteggia con le mani appoggiate ai fianchi.
Un sorriso benevolo divide il suo volto dalle fattezze spigolose, le rughe attorno ai suoi occhi si contraggono.

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