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"Siamo  fatti di carne, sangue e mancanze."
-Anonimo

Cyn'ra - 23/01/193 d

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Cyn'ra - 23/01/193 d. C.

Le parole, nebbia impalpabile dissoltasi nell'aria, mi scherniscono con una decina di occhi concentrati su di me.

Claudio avanza guardandosi attorno perlustrando l'area con la cautela tipica di un combattente esperto.
La stessa scena di qualche ora fa si ripete con le medesime dinamiche, un teatrino scandito da ansia e assillante curiosità.

"Non è qui, se è ciò che ti preoccupa."

Il capo del soldato scatta in direzione del mio, un lampo di sollievo rischiara l'ombra formatasi in prossimità delle iridi smeraldine.
Un batticuore e una paura strisciante, primitiva, sono le avvisaglie di una conversazione che non sarò mai pronta ad affrontare: il mio passato raccontato da un estraneo assomiglierà sempre a una bugia parte di un'astuta operazione per manipolarmi, perché nonostante mio ex padrone e protettore, le vicende che fanno da sfondo alla vita di Claudio mi sono ignote.

Tutto, da quando sono stata catturata e privata della mia libertà, sembra ordito con questo intento. Persino il mio essere stata lasciata nelle mani dell'Imperatore con così tanta facilità.

"Bene, allora possiamo iniziare."

"Immagino tu voglia che inizi il racconto partendo dai punti salienti, ma per tua sfortuna dovrò darti un contesto

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"Immagino tu voglia che inizi il racconto partendo dai punti salienti, ma per tua sfortuna dovrò darti un contesto. Spero di non annoiarti troppo."

Seduti fianco a fianco su di una panchina nell'angolo più remoto del giardino, con l'aria invernale a ricordarmi quanto poco sia vestita, sento il mio interlocutore sospirare con la fatica di chi sta scavando nei recessi della sua memoria per dare vita a ricordi troppo amari.

"Sono entrato nell'esercito durante il terzo anno di impero di Marco Aurelio, il padre di Commodo. All'epoca avevo diciassette anni e facevo parte della Legio VII Gemina in Hispania, la mia terra natale.
In quel periodo non volevo altro che eccellere in qualcosa, distinguermi dai miei amici e vedere il mio nome inciso sulle lastre indistruttibili della gloria eterna, ricalcare le gesta di famosi generali i quali nomi venivano proclamati con ammirazione.
Ambivo a cercare il mio scopo nel mondo, la ragione per cui ogni uomo si sveglia la mattina. Non sono mai stato riflessivo e portato all'arte del filosofeggiare, l'unica mia fonte di felicità è sempre stata la certezza di impugnare un gladio il giorno a venire.
Ero molto bravo, mi dicevano che possedevo un dono. Non ho tardato a scalare le gerarchie, distinguendomi per coraggio e onore in tre anni e mezzo: un tempo ristretto, ma anche troppo lungo per costruirsi un nome in un ambiente in cui la certezza di sopravvivere a un combattimento è minima.
Inviato nell'Urbe come pretoriano, quando non ero occupato nelle mie mansioni, ho scoperto usi e costumi inconsueti per un giovane ragazzo abituato alle terre brulle di una lontana provincia romana. Ero completamente nuovo al fervore della capitale di un maestoso impero, spaesato e stupito da quanto un luogo potesse offrire possibilità di vita... vita vera.
Lo stesso anno sono stati indetti dei giochi gladiatorii. I primi a provare le loro abilità furono dei prigionieri nordici: dei corpulenti diavoli rossi che avevano osato ribellarsi all'egemonia imperiale durante il primo anno di dominio di Marco Aurelio.
Nella spasmodica danza che è il combattimento, il fervore delle folle non ha fatto altro che accrescere l'impetuosità di quei demoni armati di spadoni e asce bipenne: uno in particolare, il capo del gruppo che tanto si è battuto quel torrido pomeriggio, mi ha colpito.
Portava orgogliosamente una criniera fulva e incolta, così come la sua barba, popolata da treccine arricchite da monili metallici. I muscoli guizzanti rilucevano sudati ai raggi solari come metallo fuso, gli occhi ardevano di furia primitiva mentre la bocca ruggiva ordini a destra e a manca in una lingua aspra e tagliente.
L'armatura in cuoio che indossava gli era scomoda: abituato al violento corpo a corpo tipico di un popolo indomito, imbrigliava il suo corpo in abiti a lui estranei.
Era tuo padre, Cyn'ra.
Rapito dal suo modo di plasmare le sorti della battaglia, non ho perso nessun suo combattimento; un anno dopo, la fama di Nechtan era giunta ai massimi livelli: era una celebrità, acclamato dalle folle come un altro gladiatore di cui hai già sentito parlare. Lo chiamavano 'Il Demone del Nord'.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, in servizio e in licenza, la sua figura imponente occupava i miei pensieri, irremovibile come un maestoso monolito.
Di lui, non mi attraeva solo la scioltezza con cui si muoveva fra cadaveri maciullati e bighe sfreccianti, ma il suo orgoglio: da quando l'ho ammirato quella volta al momento in cui i nostri sentieri hanno smesso di intrecciarsi, ha sempre conservato la dignità tipica di un uomo libero, noncurante della moltitudine di volte in cui è stato sottomesso da forze a lui superiori. Desideravo essere come lui: Nechtan era il prototipo di soldato che ho avuto in mente sin dall'inizio, fino a quel momento privo di volto.
Sono riuscito a ottenere un permesso dal suo lanista, l'allenatore del Ludus Gallicus, la scuola in cui veniva addestrato, dopo un anno. Due dopo il fatidico scontro.
Su favore di Marco Aurelio i nostri incontri divennero più assidui ed ebbi modo di insegnargli usi e costumi della civiltà che lo aveva reso uno schiavo: fu così che perfezionò il latino, Cyn'ra.
Tuo padre è sempre stato un uomo impetuoso, assetato delle opportunità che la vita gli offriva. Cinque anni dopo il pomeriggio che cambiò la mia vita, è riuscito a ottenere la libertà. Una nave mercantile diretta in Britannia gli permise di fuggire dalle sabbie pulsanti dell'Anfiteatro Flavio; Nechtan ci si è imbarcato privo di bagagli, ma carico di ricordi spartiti con un giovane pronto a dare la vita per lui.
Siamo rimasti in contatto fino a pochi anni fa. Lettere su lettere hanno scandito giorni tetri e monotoni di continui aggiornamenti sulle esistenze di ciascuno: l'incontro con Aìfe, la figlia del capo della tribù nella quale sei cresciuta; la tua nascita in un pomeriggio apparentemente infinito di metà autunno, sospeso fra il timido tepore estivo delle terre del nord e gli inclementi climi invernali tipici di quelle regioni, lo stesso giorno in cui la sua amata gli è stata strappata dagli dèi; lo scorrere dei giorni nelle praterie che tanto gli erano care e le gravosità che essere il capo di una comunità comportava.
Anche io non mancavo di raccontargli i meno interessanti avvenimenti ai Castra Praetoria o alla reggia imperiale.
La nostra corrispondenza si fece ancora più fitta quando smisi di essere un pretoriano: la vicinanza a Commodo per quasi tre anni mi ha fatto capire come a volte le mele possano cadere estremamente lontano dall'albero, oppure, come possano apparire gustose e perfette all'esterno, ma marce all'interno. Le malvagità che il giovane sovrano ha messo in atto grazie al suo fidato consigliere Falco è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, già ricolmo delle violenze a cui, in diciotto anni di servizio, avevo preso parte. Mi sentivo la coscienza sporca di una macchia indelebile. Una macchia composta dai gemiti di dolore delle concubine durante notti glaciali, le inutili esecuzioni di soldati fedeli al vessillo, le paranoie mugolate così tante volte da essere scolpite in ogni colonna della Domus, l'amore malato per la sorella. Non ho potuto sopportare di essere complice di un tale orrore per così lungo tempo; Marco Aurelio, filosofo più che condottiero, ha pianto lacrime amare nei campi elisi la notte in cui ho preso congedo dal mio compito di difensore del potere imperiale.
Mi sono recato ai confini estremi della vasta terra in cui ho creduto per più della metà della mia vita: un luogo sicuro in cui fare ammenda delle azioni che avevo compiuto in nome della gloria, mirando a essere un uomo che non sarei mai diventato.
Consumato dal senso di colpa e dilaniato dagli interrogativi, mi sono ancora una volta aggrappato alla vicinanza di tuo padre.
Ti ho sempre tenuta d'occhio, Cyn'ra. Per questo ti ho presa sotto la mia ala, per questo voglio che ora ti allontani da Commodo."

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