Capitolo 7.

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MARTIN

C'erano volte in cui quando Martin era particolarmente annoiato, steso sul materasso che aveva comprato, che però sentiva non gli appartenesse, si concedeva di ricordare alcune vicende che per quanto facessero male ne avvertiva comunque il bisogno.

Perché dopo essere scappato da quella casa ad un'età abbastanza precoce, aver ottenuto successo facendo quello che adorava e potendo sedersi una volta al mese di fronte la sua psicologa, guarendo, si dimenticava che anche lui sentiva, che poteva sentire.

E cercava dolore, perché soffrire era meglio che non sentire niente.

E per trovare quella sofferenza aveva un trucchetto.

Non ricordava molto degli anni vissuti con i suoi genitori, Maria diceva che fosse perché il cervello a volte può reprimere o distorcere ricordi traumatici come un meccanismo di difesa. Ciò nonostante, poteva ancora vedere molto vivamente le notti che ricordava essere eterne; aveva appena dieci anni e i suoi genitori vivevano ancora insieme, si odiavano, ma convivevano, ironicamente. Martin ricordava perfettamente il sentimento di asfissia che era solito posarsi nel suo petto quando la luce della sua stanza era spenta e le urla da fuori di essa si accendevano. Quando il piccolo Martin capì che coprire la sua testa con il cuscino non silenziasse nemmeno un po' delle urla, iniziò ad ascoltarle attentamente, desiderando di addormentarsi poco a poco.

Non era solito riuscirci.

E quel bambino di dieci anni finiva sempre per piangere fino a crollare per la stanchezza, dormendo tutti i giorni una quantità di ore che non si consiglia a nessun bambino.

E in quell'appartamento di 150 m² che lui stesso aveva comprato, quando l'unica luce che poteva entrare nella sua camera era quella delle grandi finestre che incorniciavano tutte le sue stanze, Martin continuava a sentire asfissia nel petto quando ricordava quelle notti.

Perché stava guarendo, ma era ancora marcio.

Ed era un processo di guarigione molto lento, perché tutti i media, tutti i suoi followers e la casa discografica si aspettavano tanto da lui. E lui anteponeva la sua carriera a se stesso. Allora, come ci si poteva aspettare che fiorisse qualcosa nel petto di un uomo che continua a perdersi?




.


Il sole stava tramontando lentamente e Juanjo e la sua famiglia stavano sparando ai piatti. Martin sapeva che doveva sentirsi grato che non stessero sparando altre cose, o in caso non avrebbe saputo come gestire quella specifica situazione.

Era seduto lontano, semplicemente guardandolo fare il suo, mentre mangiava un grande piatto di insalata di frutta davanti a sé e rivedeva la serie di messaggi di Alvaro. A quanto pareva, la gente si stava informando ed iniziano a speculare su di loro. Tutto considerato, sembrava che lo stessero facendo bene. Ciò nonostante, i media non avevano ancora detto niente su quelle teorie, per cui era ora di dare qualche passo in più.

Martin sussultò per la sorpresa quando qualcuno gli toccò la spalla. Ruslana.

La vide muovere la bocca ed indicare il posto accanto a lui. Martin si accigliò prima di rendersi conto che aveva ancora le cuffie in testa.

- Posso sedermi qui?- ripeté Ruslana.

- Ovviamente, c'è...della frutta e qualche stuzzichino.

La sua risata era melodica e totalmente coinvolgente, tanto che Martin lo poté notare. - No, grazie, sto bene. Sono venuta qui solo per farti compagnia. Io e Juanjo siamo cresciuti circondati da questa follia, per cui ci siamo abbastanza abituati, ma posso immaginare come debba essere per persone come te.

It's me who's been making the bed [Italian translation]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora