DUE

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HAILEY

15 anni prima

-Hai mai pensato di giocare con il figlio del vicino?- Chiese mio padre mentre mi riportava a casa.
Avevo trascorso l'intera giornata con lui, come stabilito dal giudice. Ero stata al parco giochi, dove mi aveva comprato lo zucchero filato che tanto amavo da bambina. Poi avevamo fatto una piacevole passeggiata sulla spiaggia, a piedi nudi, con le onde che ci accarezzavano i piedi mentre raccoglievamo le conchiglie più belle. Infine, mi aveva riportata a casa, stanca ma felice. Con lui non avevo obblighi: non dovevo indossare vestiti eleganti né essere costantemente sotto i flash delle fotocamere. Con lui ero semplicemente una bambina, mi sentivo amata e potevo giocare.
Papà guidava lungo il viale di casa quando quasi investì il figlio del sindaco, il nostro vicino. Il bambino si era lanciato davanti alla macchina per inseguire un pallone, ma fortunatamente mio padre riuscì a frenare in tempo. Dorian, così si chiamava, raccolse il pallone, si scusò e tornò tra i cespugli che separavano il nostro cortile dal suo. Mio padre era spaventato, ma subito dopo vidi il suo volto rilassarsi e scoppiare in una risata divertita.
-È un bravo bambino, dovresti provare almeno a parlarci. Non hai nessuno con cui giocare.- Aveva ragione ma immersa nei miei pensieri e ricordi sfumati, mi voltai verso il finestrino.
-Non gli piaccio e poi non ho tempo per giocare- dissi con il broncio. Papà sospirò, ma per fortuna non aggiunse altro.

Fuori dalla porta c'era mamma ad aspettarmi a braccia conserte e con la sua solita espressione rigida. Non le piaceva che passassi tempo con papà, ma era costretta ad accettare quella situazione. -Ecco, ora vado- disse lui con imbarazzo e quasi mi venne da piangere: non volevo lasciarlo andare via dopo essermi finalmente sentita una bambina. Avevo giocato per la prima volta dopo due settimane e avevo riso fino ad avere il mal di pancia. A casa, non mi era permesso ridere.
Mi voltai e abbracciai papà, che mi strinse forte. Ci saremmo rivisti di nuovo dopo due settimane; a causa del suo lavoro non poteva vedermi prima. Trattenni le lacrime quando prese ad accarezzarmi i capelli con una dolcezza a cui non ero abituata. -Fa' la brava, prometto che ci vediamo presto.- Lo guardai allontanarsi e sentii la presenza di mia madre alle spalle. Sospirai, sapendo che per i prossimi giorni il mio unico impegno sarebbe stata l'agenzia di moda. Ma nel frattempo, volevo godermi quei due giorni di pausa che mi erano stati miracolosamente concessi, per essere me stessa.
Non "Hailey: la modella e bambina prodigio", solo Hailey Green.

Dopo qualche ora mi trovai nel cortile di casa, protetta da fitti cespugli e fiori freschi. Ero seduta sull'erba bagnata e l'odore della pioggia passata mi inebriò la mente, riportandomi ai pochi momenti belli con papà. Ma fui riportata alla realtà da una pallonata in faccia. Mi alzai con le mani sul volto e il dolore arrivò forte dopo qualche secondo. Quella sofferenza incentivò il pianto che avevo trattenuto e scoppiai a piangere, era troppo da sopportare per la mia età. Non avevo abbastanza forza mentale. Qualcosa tra i cespugli si mosse e vidi spuntare una testa dai folti capelli neri. Era di nuovo lui, il figlio del sindaco.
Mi raggiunse:-Scusa Hailey, ma non è colpa mia, eri in mezzo e stavo provando un passaggio.- Quelle parole mi fecero solo innervosire ulteriormente e piansi più forte. Per una volta sperai che mia madre mi sentisse così da cacciarlo via. Aveva già staccato la testa alla mia bambola appena comprata perché voleva vedere se dentro ci fosse qualcosa. Si diceva che contenessero una bambola più piccola, ma io sapevo che erano solo dicerie. Probabilmente non la pensava come me. Un'altra volta aveva abbattuto un aereo telecomandato sulla mia casa delle bambole. Sicuramente non dovevo piacergli se era arrivato al punto di incolparmi per la pallonata ricevuta. Mi asciugai le lacrime e mi affrettai ad entrare in casa.
-Fai sempre così, Dorian, so che mi odi- mi scivolò davanti sbarrandogli il passaggio. Era di due anni più grande di me, ma si comportava come un neonato capriccioso la maggior parte delle volte. -Non ti odio, ma sei strana- ammise con un sorriso. I suoi occhi scuri brillavano di malizia e nascondeva le mani dietro la schiena con finta innocenza.
-E tu sei cattivo- gridai e il suo sorriso svanì lentamente, imbronciandosi. -Non è vero, mamma dice sempre che sono bravo- vidi il suo cuore ferito oltre gli occhi spenti e solitamente vivaci. Fui investita da un senso di colpa e provai il bisogno di piangere di nuovo. Non volevo fargli del male e quelle parole mi erano scivolate dalla bocca senza controllo. Mi avvicinai a lui e quando vide quanto ero vicina, si irrigidì; mi bloccai di colpo a quella reazione. Aveva un'espressione triste, ferita, era sul punto di piangere e mi sentii peggio. Alzai una mano e gliela appoggiai delicatamente sul viso, senza essere sicura delle mie intenzioni dietro quel gesto. Fu istintivo da parte mia e rimasi sorpresa nel vedere che non cercò di scappare via, come le volte precedenti quando mi avvicinavo troppo a lui. Lasciò che le mie dita gli accarezzassero il volto, toccai i capelli mossi e morbidi, i suoi occhi mi scrutarono con attenzione al di sotto delle lunghe ciglia. E come risvegliato dal sonno, fece un passo indietro e mi regalò uno dei suoi sorrisi che non promettevano nulla di buono.
-Ci vediamo Hailey. Cerca di non intrometterti tra il muro e la mia palla, la prossima volta- disse scomparendo tra i cespugli, lasciandomi annegare in un mare di domande.

Baby, don't blame me [ANTEPRIMA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora