DIECI

25 4 1
                                    

HAILEY

Ryan era affascinante.
Mi guardava come se fossi la ragazza più bella del mondo e non riuscivo a capire perché Dorian lo detestasse. Non che fosse famoso per simpatizzare con molte persone... io stessa non godevo di questo privilegio. Eppure, Ryan era benvoluto da tutti. Capitano della squadra di calcio del liceo, buoni voti, attraente, alto, con occhi magnetici e un fisico scolpito. Era socievole e incline alla conversazione; era difficile non trovarsi bene con lui. Il suo aspetto tradiva la sua vera natura. All'apparenza, poteva sembrare uno di quei ragazzi arroganti, pronto a scoparsi la prima ragazza che gli capitasse a tiro. Invece, era gentile, paziente e premuroso. Non aveva nemici, almeno fino a quando non mi conobbe.

Dorian era l'unico a dubitare del suo carattere e delle sue intenzioni nei miei confronti. "È un coglione, e tu sei stupida a buttarti tra le sue braccia. Così come a lasciargli libero accesso tra le tue gambe", disse un giorno. A quel commento volgare risposi con uno sguardo torvo, ma non replicai. Era passato un mese da quando, tra le mie cosce, ci si era infilato lui. Mi aveva toccata per la prima volta e poi evitata per tre settimane. Da poco aveva ripreso a parlarmi ma non avevamo mai affrontato il motivo di quel gesto. Per me andava bene così; non ero pronta a discutere la questione con Dorian. Avevo paura che potesse reagire in modi imprevedibili: andarsene, alzare la voce, ridicolizzarmi per mesi... o, peggio, darmi la risposta che desideravo. Ma non volevo rischiare di affrontare tutte le altre possibili reazioni.

Quel giorno non vidi Dorian tornare da scuola. Mi parve strano, considerando che veniva costretto a frequentarla persino con la febbre, ma non ci pensai troppo. La sua assenza, in fondo, mi offriva l'occasione di concentrarmi sulla mia vendetta. Da qualche mese, infatti, aveva iniziato a farmi scherzi di cattivo gusto, come se volesse punirmi per qualcosa che solo nella sua mente avevo fatto. Per fortuna, frequentavamo scuole diverse, anche se spesso le nostre istituzioni collaboravano a vari progetti. Non era quindi raro incontrarlo nei corridoi e Dorian ne approfittava per umiliarmi davanti a tutti. Una settimana prima mi aveva versato in testa una sostanza puzzolente e rossa. Non mi ero interrogata troppo su cosa fosse e avevo passato ore a cercarlo, senza risultati. Stavo iniziando a odiarlo. Non riuscivo a capire come il mio amico d'infanzia, la persona di cui mi ero fidata per anni, potesse comportarsi così. Perché aveva cominciato a trattarmi in quel modo? Io non gli avrei mai fatto una cosa simile.

E soprattutto, non trovavo senso nel fatto che fosse entrato nella mia stanza, mi avesse toccata e mi avesse fatto pronunciare il suo nome nel momento dell'orgasmo, solo per poi umiliarmi una settimana dopo. Era estenuante cercare di capirlo, era incomprensibile.

La sera precedente era caduta la neve e avrei voluto uscire di nascosto a tirargli palle di neve, come facevamo da bambini, quando ancora mi voleva bene. Quando era ancora sopportabile, persino affettuoso. Tornai a casa dopo una lunga giornata scolastica. Finalmente potevo godermi il weekend, sperando che Dorian non me lo rovinasse. Ma ormai era diventato impossibile. Era cambiato. Le sue priorità erano scoparsi quante più ragazze possibili e rendermi la vita difficile. Sospirai, restando immobile in giardino, osservando i fiocchi di neve cadere. Mi chiesi cosa stesse facendo in quel momento.

In quel periodo, mi risultava sempre più difficile mangiare. Ricordavo i giorni in cui ogni boccone sembrava un peso, una scelta sbagliata. Ogni pasto diventava una lotta contro me stessa, un pensiero ossessivo su come avrebbe modificato il mio corpo, su come mi sarei sentita dopo. Guardavo il piatto con ansia cercando di convincermi che non avevo davvero fame. Ero intrappolata tra aspettative irrealistiche, specchi che riflettevano un'immagine che non poteva permettersi errori. Ogni pasto era un campo di battaglia, dove il cibo rappresentava un prezzo troppo alto da pagare: qualche grammo di troppo, un difetto in più sulla pelle. Mi sentivo prigioniera della mia voglia di normalità e dell'ossessione per la perfezione. Non era più fame, era paura. Paura di perdere il controllo, di vedere il riflesso nello specchio cambiare, di essere giudicata. Così, spesso non mangiavo affatto, aspettando che il vuoto dentro di me diventasse tollerabile.

Baby, don't blame me [ANTEPRIMA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora