LA NOTTE DI CORWELL

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Era un normale lunedì. Il sole autunnale riscaldava appena le strade arrossate dalle grandi foglie cadute e il villaggio si stava preparando per i festeggiamenti in occasione della Grande Festa che ogni anno, da cento anni, si svolgeva proprio da lì a una settimana.

La signora Maria stava appendendo striscioni ambrati all'insegna logora del suo negozio di antiquariato; mentre il vecchio signor Antonio era appeso precariamente a un lampione per appoggiare le ghirlande di foglie arancioni che da anni si ostinava a mettere; sotto di lui, i bambini correvano scacciati dalle madri, intente a spazzare per terra davanti alle case sommerse dal fogliame.

Ogni anno i vicoli si riempivano di chiacchiere tra cui si distinguevano le leggende legate a quel periodo dell'anno.

Gli anziani, fatta eccezione per il signor Antonio, usavano sedersi sull'uscio di casa ad aspettare. Osservavano giudicanti i passanti e fumavano i loro sigari sperando che qualche turista spaesato si fermasse a chiedere informazioni sull'imminente festa.

Tra loro c'era Glauco che, con alle spalle cinquant'anni di duro lavoro alla centralina d'informazione, fissava le giovani carni borbottando tra se e se immaginando quale potesse essere la prescelta di quell'anno.

Quando i malcapitati se ne accorgevano e domandavano all'uomo il motivo di tanto interessamento, la risposta era sempre la stessa: sorrideva soddisfatto, alzava il capo a guardare i suoi interlocutori, schiudeva lento le labbra e scandiva bene le parole "chissà chissà". Molti lo definivano pazzo, ossessionato dalle leggende che ogni anno si adempivano, giustificate dalla pura coincidenza.

Nessuno credeva a quelle sciocchezze oltre al vecchio Glauco.

O quasi.

Quella settimana era l'ultima prima della festa di Corwell, la celebrazione più importante dell'anno. I ragazzini la attendevano per mesi, ansiosi di poter passare più tempo insieme, senza il peso dei compiti e delle interrogazioni.

Ogni giorno si avvicinava però la Notte Maledetta. Il fatidico momento nel quale una delle Creature assetate di giovane carne umana sarebbe venuta a loro per rivendicare l'antico patto di sangue stretto dai grandi capi, i cosiddetti Antichi, anni orsono. Questa era la leggenda.

Frutto della pura immaginazione, solo gli scellerati come il vecchio Glauco possono crederci, dicevano.

Al sorgere del sole, ognuno degli abitanti pensava che la Luna di Corwell fosse ancora lontana, che i propri figli, i propri amici e amanti fossero al sicuro, vista la quasi totale convinzione che quelle che aleggiavano tra le bocche degli anziani fossero solo sciocche dicerie.

Al tramonto però, scorgendo la luna che giorno dopo giorno si assottigliava, la paura cresceva e anche i più razionali consideravano rituali e intrugli stregati per allontanare il Male dalle proprie case.

Così, il rossore del mattino e quello della tarda sera si alternava velocemente e la luna scompariva alla vista degli abitanti.

Ed eccoli la. Un gruppo di ragazzi a discutere con Glauco, spaesati con grossi zaini in spalla.

"Fermi" Glauco li studiava già da qualche metro. Sperava che loro fossero disposti ad ascoltarlo e scappare finché la Luna glielo avrebbe permesso.

I ragazzi fecero come gli era stato intimato, voltandosi verso la rauca voce dell'uomo che, intanto, gli stava facendo posto sullo stretto gradino dell'uscio di casa. Gli fece cenno di sedersi, con un'espressione che non ammetteva repliche. Lo assecondarono: perché mai avrebbero dovuto diffidare di un anziano signore dall'aria tanto docile?

"Buon pomeriggio!" sorrise un membro del gruppo, ma Glauco non lo fece proseguire con i cordiali convenevoli.

"Dovete andare. Ora" strano. Non aveva voluto spaventarli, o indagare per capire chi potesse essere l'agnello sacrificale. Voleva aiutarli...

"Perché mai signore, siamo appena arrivati e la cittadina è incantevole" proseguì un altro giovane sconcertato, intento ad alzarsi.

"Voi non capite. Io sento. Io la sento" fissava un punto indefinito della strada davanti a lui, come se la vedesse.

"Ci scusi, cosa la turba? Ha bisogno di aiuto?"

Scosse la testa irritato dalla banale domanda. Non capivano la gravità della situazione.

Indicò un enorme cartellone con il lungo dito raggrinzito:

Lessero:

Stolto stolto viaggiatore,
Hai camminato per ore ed ore
Ma ora? Ora lo senti il fetore?

Povero sciocco
Finirai come Rocco
E con lui ora aspetti lo schicco

Mani sottili solleticano le fronde
piccoli piedi l'erba nasconde
Infine un fruscio ad eco risponde

Corri corri viaggiatore
Non ti rimangono che ore
Ed ora, ora si che lo senti il fetore

Aspetti lo schiocco
Aspetti il suo tocco
Lo aspetti nel bosco

Si avvicinano svelte
Le vedi e sono in sette
Anni fa sono state scelte

Sono neri e si allargano:
Occhi grandi che ti incantano
Occhi enormi che ti mangiano

I ragazzi, spaventati da ciò cheavevano letto, si alzarono silenziosi e se ne andarono senza salutare,dirigendosi verso chissà quale umido Hotel.

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