PROLOGO

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Theron, 7 anni

«Nasconditi sotto al letto, presto!»

Erano state le uniche parole di mamma quando aveva sentito la macchina di papà entrare nel vialetto di casa dopo aver passato l'intera notte fuori, chissà dove, con chissà chi.

Mia madre mi aveva fatto appena nascondere sotto al letto quando papà entrò nella mia stanza, ubriaco come sempre e con una bottiglia di rum mezza vuota in mano.

«Dov'è mio figlio, Nathalie?»

Aveva la voce impastata ma era aggressivo come sempre. Mamma stava cercando di mantenere la calma, ormai era abituata a vederlo così.

«Filip, amore, ho portato Theron da tua madre ieri sera per la cena, lei gli ha chiesto di restare li e io gli ho dato il permesso visto che oggi non ha scuola»

La sua voce dolce contrastava quella dura e apatica di mio padre e mi rassicurava mentre stavo nascosto li, con ancora il pigiama addosso, mentre il sole non era ancora sorto. Mi rilassai un attimo, consapevole che mia madre non gli avrebbe permesso di sfogarsi su di me, come ormai era solito a fare ma in quell'esatto istante sentii lo schiocco di uno schiaffo e un momento dopo, mia madre era a terra con la mano che si teneva la guancia dolorante. Strinsi Mr. Nuvola al petto e la risata fredda e sadica di papà riecheggiò nella stanza. Volevo andare da mamma ad aiutarla, a proteggerla, a difenderla dal mostro che era diventato papà.

«Lurida troia, Andrei mi ha detto che quel disgraziato non è mio figlio...»

Io odiavo Andrei, l'amico più caro di papà, che ogni volta che si ubriacava si inventava storie assurde su me e mia madre a cui mio padre, nello stato in cui si trovava. non poteva fare a meno di dare credito.

«...quel piccolo bastardo non sa che cosa gli aspetta appena sarà a casa, ma per ora vedrò di occuparmi di te, Nathalie. ti farò passare la voglia di darla al primo che incontri»

Sentire che cosa aveva intenzione di fare a me quando mi avrebbe trovato avrebbe dovuto farmi preoccupare ma in quel momento, con mamma a terra e papà che la colpiva ripetutamente, mi sentii solo morire dentro.

Era colpa mia. Era colpa mia se loro litigavano. Era colpa mia se mamma stava con papà. Io non ero previsto quando loro si sono incontrati, io solo il motivo per cui sono sposati, sono il motivo per cui papà beve, sono il motivo per cui mamma è sempre piena di lividi, sono il motivo della loro infelicità e volevo solo morire, ma così era troppo facile. Ero costretto a vivere e a tenere insieme una famiglia che si sgretolava giorno dopo giorno, a vedere mia madre soffrire, a vedere mio padre fuori di se, a voler reagire anche se non ne avevo la possibilità, a sentirmi impotente mentre il mondo mi crollava addosso.

Mamma mi rivolse uno sguardo per dirmi che dovevo seguire il protocollo a cui avevamo lavorato: lei avrebbe fatto in modo di portare papà fuori dalla stanza e io sarei dovuto andare subito dalla nonna, che abitava dall'altra parte del nostro quartiere. Io feci cenno di no con la testa, non volevo lasciarla sola, non con lui, ma lei mi accennò un timido sorriso.

Appena mia madre portò fuori papà, io uscì dal mio nascondiglio, aprii la finestra e scappai dalle urla di quel luogo mentre il silenzio assordante della strada mi stordiva, facendomi realizzare che non eravamo una famiglia normale, ma quella era la mia normalità.

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